Il contratto è un banco di prova per le parti sociali. Dall’esito dipenderà il loro futuro.
I segnali, però, giocano a loro sfavore. Hanno preferito ripiegare, avvallando una cifra irrisoria, umiliante ( 85€ lordi medi in tre anni ). Nel 2015 avevano fatto sperare…

Il contratto. La piattaforma unitaria aveva fatto ben sperare!

Nel 2015 i principali sindacati ( CGIL,CISL,UIL e SNALS ) avevano pubblicato una piattaforma unitaria che aveva fatto ben sperare. Si legge: “Il potere d’acquisto degli stipendi dei lavoratori del comparto scuola, dopo 6 anni di
mancato rinnovo del Contratto, ha perso, rispetto all’inflazione, in termini nominali,
220 euro su base mensile, quindi per recuperare la perdita per il periodo 2010-2015
occorrerebbe un aumento retributivo medio mensile di pari entità. Gli stipendi del
comparto scuola risultano ridotti anche in termini reali, infatti, secondo il Conto
Annuale, la retribuzione media annuale del comparto scuola del 2013 (ultimo dato
disponibile) risulta ridotta di 1.100 euro rispetto al 2009.
Nella comparazione con le retribuzioni del personale degli altri Paesi dell’area Euro, gli
stipendi sono tra i più bassi: dietro l’Italia solo la Grecia e l’Estonia.
Si tratta di una vera e propria emergenza stipendiale del personale della Scuola.” Da qui la proposta di avanzare una richiesta di aumento netto di 150 €.

La preintesa contrattuale ( 30 novembre 2016), ovvero il  ripiegamento del sindacato.

Il contrattoTutto faceva ben sperare! Le condizioni c’erano tutte per firmare un buon contratto economico. Non ultima la sentenza della Corte Costituzionale del 24 giugno 2015,
In sostanza la Massima Corte, formalizzava che il blocco dei contratti più volte reiterato era una soluzione non più giusticabile dal punto di vista costituzionale.
Il sindacato riesce nel capolavoro di trasformare una situazione ideale in una resa . In altri termini, accetta “aumenti” non inferiori agli 85€ lordi nel triennio ( Intesa contrattuale 30 novembre 2016). In cambio di cosa? Semplicemente di un impegno del governo ad un  “riequilibrio a favore della contrattazione, del rapporto tra le fonti che disciplinano  il rapporto di lavoro dei dipendenti…”

Non c’è che dire: una bella differenza!

A distanza di un anno cosa è cambiato? Quali sono le certezze? Iniziamo da quest’ultime. Sicuramente gli 85€ medi lordi nel triennio, confermati nell’ultima trance dall’impietoso DEF 2018-20 votato dal governo nelle scorse settimane.
Invece, l’impegno del governo a riequilibrare il rapporto tra il contratto e la legge  è diventato altro. Ha prodotto un Testo Unico del pubblico impiego (2017). Si legge all’art. 2 secondo comma in un italiano non eccelso che lascia più di un dubbio ( in grassetto il passaggio criptico): ” Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano o che abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a catego-rie di essi, possono essere derogate nelle materie affidate alla contrattazione collettiva ai sensi dell’articolo 40, comma 1, e nel rispetto dei principi stabiliti dal presente decreto, da successivi contratti o accordi collettivi nazionali e, per la parte derogata, non sono ulte-riormente applicabili [, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge

Ed ora provano a rimediare al “capolavoro”

Sinopili segretario della FLC-CGil ha recentemente dichiarato che 85€ lordi medi nel triennio sono una cifra modesta, considerandoli solo un punto di partenza.
Ripensamento tardivo,  che difficilmente produrrà effetti positivi contro ” i giganti” delle leggi di stabilità 2016-2017 e i MEF.
In sintesi, questa è la situazione. Non invidio il sindacato che si è infilato in un “cul de sac” dal cui difficilmente uscirà indenne!