Alvaro

 
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di Alvaro Belardinelli

Vi sono molte differenze tra una comunità democratica e uno Stato autoritario. Una delle più evidenti è il modo in cui essi considerano la Scuola.
Un regime manda i propri sudditi a scuola affinché imparino un mestiere (possibilmente quello dei propri genitori), ossia una tecnica lavorativa che perpetui l’esistente. Così il figlio di operai farà l’operaio, il rampollo del notaio farà il notaio, la prole dell’impiegato scartabellerà scartoffie. Nessuno di costoro verrà educato a porsi domande, a pensare autonomamente, a chiedersi se la società in cui vive sia veramente la migliore possibile, a immaginarne una diversa.
Un Paese democratico, invece, richiede ai propri cittadini uno sforzo in più, affinché diventino capaci di pensare autonomamente, di immaginare nuove realtà, nuovi mondi, mettendo in discussione l’esistente per rinnovarlo e, se necessario, superarlo. La democrazia fa questo perché è democrazia, sic et simpliciter. Realizzando questo programma, la democrazia mette i cittadini sullo stesso piano; fa’ in modo che nessuno resti svantaggiato in partenza per motivi economici o sociali o razziali, o sessuali, o religiosi, o politici. Come comanda l’articolo 3 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
La democrazia però non fa questo soltanto per puro spirito filantropico: lo fa perché è vantaggioso per la collettività, ossia per tutti: compresi gli straricchi, i potenti, gli avvantaggiati dalle condizioni “personali e sociali”. E perché è vantaggioso per tutti che anche i più sventurati siano messi nelle condizioni di farsi valere a scuola, amando la conoscenza ed imparando ad usare la mente? Per un motivo molto semplice: perché tutti possano dare il proprio prezioso contributo per migliorare la realtà mediante le proprie capacità intellettuali.
 
La storia ha più volte dimostrato che i geni non nascono solo nelle famiglie nobili e facoltose, ma che è determinante, nel loro sviluppo, l’educazione e l’istruzione che hanno ricevuto. Leonardo da Vinci era figlio illegittimo di una donna del popolo minuto. Antonio Canova proveniva da una famiglia di scalpellini. Giotto era di origini umili. Ludwig van Beethoven discendeva da una umilissima famiglia contadina fiamminga (malgrado la particella van, che erroneamente potrebbe far pensare ad origini aristocratiche). Se tutti questi geni non avessero potuto formare, mediante l’educazione e l’istruzione, la propria preparazione culturale, l’autonomia del proprio pensiero, la propria creatività, il proprio spirito critico, oggi noi non avremmo la Nona Sinfonia, gli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova, il gruppo marmoreo di Amore e Psiche, la Gioconda.
Il genere femminile (che oggi ottiene risultati migliori del maschile) è potuto assurgere agli onori delle arti e delle scienze soltanto da quando è stato finalmente permesso alle donne di poter studiare in massa.
 
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Dunque un sistema democratico, per definizione istituito nell’interesse della collettività, proprio nell’interesse di quest’ultima istituisce le scuole d’ogni ordine e grado, col fine precipuo di scoprire i talenti dei futuri cittadini e di metterli a frutto. Non soltanto per renderli più utili, ma anche per renderli più liberi, perché la loro libertà mentale è un patrimonio collettivo, che tornerà utile a tutta la società.
Il segreto della nostra specie, homo sapiens sapiens, quello che l’ha resa dominante nella natura, è la sua libertà di pensiero. Un pensiero logico, che nasce nei lobi frontali (più sviluppati rispetto al nostro predecessore, homo sapiens neanderthalensis), e che si esplica nella capacità di fare ordine: ordine mentale, spaziale, fisico; logico, appunto. Kosmos: così gli antichi Elleni chiamavano l’ordine dell’universo. E kòsmesis era per loro la capacità di ordinare il proprio aspetto secondo un criterio estetico: cosa che sanno fare soprattutto le donne, da sempre più dotate di intuito e di senso pratico (e più brave negli studi). I neandertaliani non coltivavano l’arte, ed appresero a fabbricarsi ornamenti d’osso o di pietra solo copiando (senza comprenderli) i monili degli umani (uomini e donne) della nostra specie.
Furono ancora le donne, durante l’epoca neolitica, a inventare l’agricoltura. Gli studi più recenti dimostrano infatti che furono probabilmente le donne ad accorgersi del nesso esistente tra la deposizione del seme nella terra e la nascita di una nuova pianta. Erano state le donne, nell’epoca più antica della preistoria, ad occuparsi della raccolta delle piante, e questa loro antica sapienza fu probabilmente ciò che permise loro di compiere il passo successivo in direzione della coltivazione delle piante, le cui proprietà erano ben note alle loro madri e alle loro nonne da centinaia di migliaia di anni. La conoscenza è stata quindi la base del pensiero creativo che ha generato la rivoluzione agricola; così come sulla base della conoscenza scientifica e tecnologica si sviluppò la rivoluzione industriale. Non può nascere il pensiero creativo se non dalla conoscenza: se questa conoscenza non è libera, non è libero nemmeno il pensiero, il quale senza libertà non può essere creativo.
 
E veniamo al punto nodale: la Scuola deve essere messa in grado di trasmettere conoscenze, perché queste sono la base del pensiero libero. Se non conosco, non so discernere. Se non so discernere, non sono libero. Dunque la mia libertà è profondamente condizionata dal mio patrimonio di conoscenze.
Pertanto la scuola non può e non deve essere un semplice centro di addestramento a “competenze” minimali, unicamente finalizzate all’apprendimento di tecniche lavorative e produttive condizionate dal volere e dagli interessi altrui.
Imparare un lavoro è importante, certo. Ma se, prima ancora di apprendere un lavoro, sarò in grado di usare compiutamente, efficacemente e creativamente il mio pensiero, che si struttura sulla base delle conoscenze acquisite, solo allora sarò veramente libero. Ed essendo libero, sarò utile per la società che mi ospita e di cui faccio parte. Infatti, come sottolineavamo poc’anzi, l’innovazione della società è possibile solo laddove il pensiero sia libero; giacché solo nella libera dialettica dei liberi ragionamenti di ognuno l’umanità è capace di progredire, immaginando nuovi mondi e realizzandoli.
Suscitano in noi non poca preoccupazione, pertanto, tutti quei tentativi governativi, in atto da svariati decenni a questa parte in Italia (e non solo), di mettere sotto controllo la scuola pubblica mediante il continuo invito a sviluppare le competenze degli alunni, trascurando però e svalutando il patrimonio di conoscenze accumulato nei secoli, e che per secoli è stato punto di partenza e base di ogni possibile innovazione. Infatti si può innovare solo ciò che si conosce, e di cui si conoscono pregi e limiti. Non trasmettendo ai giovani le conoscenze più elevate, si impedisce loro di rinnovarle e di vivificarle.
 
Da decenni i governi di ogni colore tentano di svilire, denigrare, dipingere come obsoleti tutti quei nuclei fondanti del patrimonio culturale dell’occidente che sono contenuti in discipline fondamentali della nostra civiltà come la letteratura, la poesia, la filosofia, le lingue classiche. Ciò avviene nel nome di una malintesa “modernità” che moderna non è. La modernità, infatti, nata col Rinascimento italiano, si basa proprio sulla riscoperta del libero pensiero antico, e greco in particolare, che fu capace di mettere in crisi la mitologia tradizionale ed il tradizionale e tradizionalista ruolo dei sacerdoti nell’impedire l’evoluzione culturale e sociale. La riscoperta del mondo classico fu alla base del pensiero rinascimentale, di quello bruniano e poi di quello illuminista, che contrapponeva la libertà degli antichi all’oscurantismo medievale e all’ignoranza collettiva di cui quell’oscurantismo si alimentava.
Al contrario, spingere i cittadini ad abbandonare le conoscenze per privilegiare le competenze tecniche, operative ed esecutive non costituisce altro che un monumentale passo indietro verso il Medioevo. Qualcuno, lassù, nelle stanze del potere economico, finanziario, politico, sogna un mondo di esseri lobotomizzati, con una profonda scissione interiore fra azione pratica e pensiero teorico, incapaci di formulare un ragionamento astratto, e perciò manovrabili, influenzabili, suggestionabili. In due parole, stupidi e utili a chi comanda.
 
La cosiddetta riforma Gelmini, che nel 2008 sottrasse alla scuola statale (l’unica pubblica!), la bellezza di 8 miliardi di euro, penalizzò fortemente tutte le materie umanistiche, distruggendo l’unità e la continuità delle cattedre, abolendo di fatto l’insegnamento della geografia nel ginnasio, affidando ad insegnanti di lettere moderne le materie classiche nel liceo classico, aumentando a dismisura il numero di alunni per classe.
Il Partito Democratico, che per vincere le elezioni promise ai docenti di abolire la riforma Gelmini, non sono non l’abolì, ma impose ai Docenti nel 2015 quella catastrofe che passò sotto il marchio pubblicitario di “Buona Scuola”. Grazie a questa nuova sciagura, ora i Docenti non sono più liberi. Infatti in ogni scuola la loro libertà è sottoposta a un vero e proprio padrone, emissario del governo e dal governo nominato, e che risponde al nome di “Dirigente Scolastico”. L’onnipotente Dirigente Scolastico ha infatti il potere di dare e togliere cattedre a suo piacimento, senza dare spiegazioni a nessuno. I Docenti nella “Buona Scuola” non hanno così più nemmeno la titolarità del posto di lavoro, e possono essere rimossi a piacimento del Dirigente Scolastico, tornando a fare le supplenze in “ambiti territoriali” grandi come mezze province.
Mussolini aveva dato ai presidi del suo tempo la possibilità di stilare note di merito sugli insegnanti di tutto il regno, facendo dei presidi stessi dei potentissimi ministri senza portafoglio operanti in ogni scuola. Renzi è andato ancora più avanti sulla strada della cancellazione di ogni libertà d’insegnamento, fornendo in più ai presidi un portafoglio. Infatti, grazie alla “Buona Scuola”, il Dirigente Scolastico può anche distribuire fondi, chiamati bonus, a proprio piacimento, senza rendere conto a nessuno delle proprie decisioni, ma premiando e castigando i Docenti in base al proprio insindacabile giudizio. Il Comitato di Valutazione che lo affianca, infatti, ha l’unico compito di stilare criteri per l’assegnazione del bonus; criteri che possono però essere benissimo ignorati dal dirigente scolastico, perché nessun’altra norma stabilisce di fatto regole per mettere in discussione la scelta del medesimo dirigente.
La scuola si trasforma così in azienda militarizzata, nella quale i Docenti italiani, i peggio pagati del mondo occidentale, sono indotti, se vogliono sopravvivere, a non contraddire il Dirigente Scolastico circa le scelte di politica scolastica da lui operate. Il Docente viene indotto ad obbedir tacendo. Nulla può impedire ad un Dirigente creazionista di mettere bocca nell’operato di un Docente laico che voglia insegnare la dottrina evoluzionistica di Darwin. Nulla può impedire a un Dirigente Scolastico revisionista di indurre i propri Docenti di storia a non “calcare troppo la mano” nell’insegnamento della shoah. Nulla può impedire a un Dirigente Scolastico, che voglia aumentare le iscrizioni nella propria scuola, di condizionare i docenti inducendoli alla promozione facile degli alunni che non studiano.
Può essere questo il modo migliore di gestire la scuola pubblica nell’interesse collettivo?
 
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Nel frattempo il governo aumenta sempre di più il peso di un ente esterno come l’Invalsi nella “valutazione” (leggasi condizionamento) della Scuola pubblica italiana.
Imporre le prove Invalsi come requisito essenziale per sostenere l’esame finale di Stato, rendendole indispensabili per superare il medesimo, come sta facendo l’attuale governo, significa una cosa molto semplice: significa indurre un effetto di retroazione sull’operato dei docenti per convincerli a modellare tutta la propria azione didattica con l’unico fine di far superare agli alunni le prove Invalsi stesse. Anche perché alle “valutazioni” dell’Invalsi saranno in futuro legati premi e punizioni per i Docenti.
In tal modo i Docenti italiani saranno sempre più condizionati ad insegnare ciò che l’Invalsi vuole nel modo che l’Invalsi vuole, rinunciando alla propria libertà d’insegnamento sancita dalla Costituzione ed utile per la collettività, come abbiamo sopra dimostrato. L’Invalsi sta dunque trasformandosi in una sorta di ministero della verità di orwelliana memoria. Del resto, come nel romanzo 1984 di Orwell, l’uso antifrastico della neolingua induce i governi e il sistema mediatico da essi dipendente a definire “buona” una scuola che di buono non ha nulla, e Jobs act una legge che il lavoro lo distrugge.
 
Per rendere più libera la società bisogna partire dalla scuola: finanziandola e inducendo gli insegnanti alla libera ricerca e alla libera trasmissione delle proprie conoscenze, perché ubbidiscano soltanto alla Costituzione e alla propria coscienza professionale e civile. Al contrario, se si vuole affossare la democrazia, non c’è cosa migliore che distruggere la Scuola pubblica impoverendola, umiliandola, calunniandola, distruggendo l’immagine dei docenti, sottopagando questi ultimi, obbligandoli ad ubbidire ad un padrone chiamato Dirigente Scolastico, intimidendoli con un clima di intimidazione e di svalutazione della loro professionalità, inducendoli a fare il meno possibile e con il minor coinvolgimento possibile della propria emotività e del proprio cuore.
 
Ed è qui che la parola laicità diventa importanza fondamentale. La scuola deve formare negli alunni un atteggiamento laico personale, che elimini qualsiasi loro sudditanza nei confronti di dogmi, religioni, ideologie politiche, dottrine economiche, idoli di qualsiasi tipo. Nella storia della civiltà umana troppe volte il progresso è stato ostacolato da dottrine volte a conservare l’esistente (ossia i rapporti di forza tra ceti egemoni e classi subalterne). Molti hanno pagato, come Giordano Bruno, per il proprio impegno a favore della laicità, della libertà di pensiero, del progresso. Se noi oggi siamo liberi di pensare come vogliamo, di esprimere liberamente i nostri pensieri, di agire coerentemente con la nostra libertà, lo dobbiamo ai martiri del libero pensiero. Lo dobbiamo ai partigiani, che hanno lottato per la nostra libertà.
La Scuola di oggi è stata costruita da generazioni di insegnanti, che con il proprio lavoro l’hanno trasformata in palestra di libertà di pensiero, di libera ricerca, di libera creazione artistica. La Scuola italiana in un secolo e mezzo ha trasformato questo Paese, abbattendo l’analfabetismo e trasformando l’Italia in uno dei Paesi più importanti del pianeta.
Se vogliamo che la nostra Scuola continui a rendere migliore l’Italia, dobbiamo pretendere che resti laica. Una Scuola laica deve rifiutare non solo qualunque religione di Stato, ma anche qualsiasi mitologia ufficiale, qualsivoglia ideologia. La Scuola di tutti non deve essere dotata di nessuna dottrina morale precostituita, perché è essa stessa una comunità educante, nella quale la cultura, il sapere, l’etica si ricreano continuamente nella libera dialettica della ricerca, dell’insegnamento e dell’apprendimento. La Scuola laica è neutrale nei confronti delle diverse ideologie e religioni esistenti al suo interno, e assicura l’uguaglianza giuridica di tutti i discenti e di tutto il personale che nella Scuola vive e lavora, senza discriminazioni basate sulle fedi e sui convincimenti personali.
La Scuola laica è un’istituzione, non un’azienda; essa è finalizzata alla coesione sociale, alla giustizia, alla sicurezza che dalla giustizia è creata. Non al trionfo dell’ideologia delle banche e dei centri di potere finanziario. Essa favorisce il dibattito critico e pacifico tra le specifiche opinioni, perché ha fede unicamente nell’Umanità, capace di autodeterminarsi (come l’illuminismo ha insegnato) nella libertà, nella fratellanza, nel rispetto, nella tolleranza reciproca. La Scuola deve educare l’individuo all’autonomia intellettuale: ovvero a scegliere secondo coscienza, e non secondo dogmi, mode e ideologie; a scegliere, accettando le conseguenze delle proprie scelte ed affrontandole. La Scuola deve insegnare, mediante l’esempio, che l’individuo può compiere un percorso costruttivo da protagonista, mirando alla felicità propria, che sarà tale soltanto se realizzata in un’ottica di felicità comune. Perché la libertà individuale non può essere limitata in nome delle dottrine di autorità religiose, politiche o finanziarie, ma deve essere garantita, nell’interesse dell’umanità stessa nel suo complesso.
 
Ecco perché oggi non possiamo non dirci laici. L’autonomia intellettuale dell’individuo è troppo importante per poter essere conculcata. Importante per la sopravvivenza stessa del genere umano, in un momento storico in cui la religione dominante, ossia il neoliberismo economico, sta conducendo per mano il pianeta verso il collasso ambientale, verso il depauperamento di tutte le risorse, verso un futuro di guerra, distruzione, intolleranza.
Oggi qualsiasi pensiero alternativo in ambito economico non trova spazio nelle università e nelle accademie, perché l’adesione incondizionata al neoliberismo economico fa piazza pulita, dogmaticamente ed in modo autoritario, di qualsiasi possibilità di ragionamento alternativo.
Eppure la libertà di pensiero sopravvivrà, perché non può non sopravvivere. E suo strumento principe deve restare la Scuola. Urge l’impegno di tutti i cittadini e di tutte le cittadine degni di questo nome, affinché la Scuola non venga asservita alla religione del dio denaro, avvilita al rango di azienda, depauperata nelle risorse e sottoposta agli interessi di chi comanda.
 
 

Alvaro Belardinelli

 
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