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Chi teme il sindacalismo di base? Ricostruzione-testimonianza di una docente presente ai fatti del 10 novembre 2017 a Roma davanti al MIUR.
di Barbara Gentili
Il mio nome è Barbara Gentili e sono una docente di Storia e Filosofia in un liceo romano, nonché membro dell’Esecutivo Nazionale del sindacato di base Unicobas Scuola&Università.
Sono stata testimone oculare dei fatti accaduti a Roma il 10 novembre 2017 davanti al MIUR in viale Trastevere.
Sciopero che ha registrato una larga adesione e che ha dato vita ad innumerevoli manifestazioni in tutta Italia il 10 novembre 2017.
Voglio ridare la giusta importanza ad una questione fondamentale: perché docenti, ata, lavoratori precari, che si attestano ad un’età media di cinquant’anni, sentono la necessità di manifestare il loro dissenso rinunciando ad una giornata di paga lavorativa?
Perché è stato impedito a Roma di fare un corteo che raggiungesse Palazzo Chigi?
Ma per fare questo sento il dovere, etico e politico, di ricordare i motivi per cui cinquantenni pacifici si sono incontrati davanti al MIUR la mattina del 10 novembre 2017, incrociando le braccia in adesione allo sciopero generale indetto dai sindacati di base Cobas, Unicobas e USB.
I motivi della protesta sono reperibili ovunque in rete, ma ci tengo molto a ricordarli perché è di vitale importanza comprendere cosa spinge docenti adulti, prevalentemente donne – con un’età media, ripeto, di almeno cinquant’anni – a scendere in piazza per esprimere chiaramente, pacificamente e liberamente il proprio aperto dissenso verso le politiche economiche e sociali che si stanno attuando da almeno vent’anni e, in particolare, con (e in seguito a) l’approvazione della L.107/15: la cosiddetta ‘riforma’ renziana – che di “buono” (L.107/15) ha solamente il nome – porta a compimento un lungo percorso di distruzione e aziendalizzazione della scuola pubblica.
A volto scoperto e a mani nude volevamo protestare contro le politiche economiche e sociali, che stanno sempre più erodendo i diritti di tutti, e che scientemente stanno trovando graduale attuazione da almeno vent’anni.
La legge 107/15 ha decretato la perdita della titolarità per i neoassunti, ma anche per chi chiede trasferimento o diventa soprannumerario, assegna eccessivi poteri ai Dirigenti Scolastici (di scelta del personale docente e di assegnazione del bonus cosiddetto di merito) e istituisce la discutibile alternanza scuola-lavoro per tutti gli studenti delle scuole di istruzione secondaria superiore (400 ore) e dei licei (200 ore).
La piattaforma rivendicativa dello sciopero del 10 novembre intendeva anche affrontare il problema del rinnovo contrattuale, fermo ormai da oltre due lustri.
Bisogna sottolineare a tal proposito che, secondo uno studio della Flc-Cgil torinese – che fotografa spietatamente la perdita del potere d’acquisto subito in questi anni di crisi dai lavoratori della scuola – il mancato rinnovo ha fatto perdere dagli 11.128 euro netti di un collaboratore scolastico, passando ai 15.303 euro netti di un docente della primaria, ai 16.823 di un docente delle medie, ai 17.507 euro netti di un docente delle superiori.
Lo studio della stessa Flc-Cgil torinese mette in evidenza, insomma, una palese contraddizione del sindacato di Francesco Sinopoli, firmatario di un accordo-capestro con Cisl, Uil, Snals a pochi giorni dal Referendum del 4 dicembre 2016 (“a pensar male – diceva un famoso politico – si fa peccato, ma il più delle volte ci si indovina”); pare evidente la forte contraddizione con cui si trova a combattere la CGIL: da una parte denuncia una pesante perdita di potere d’acquisto in 10 anni di blocco contrattuale, a 15.000 euro medi netti per i lavoratori della scuola, mentre dall’altra firma per un contratto che di euro ce ne darebbe al massimo 1600 medi netti in 3 anni (le famose 85,00 euro medie lorde a fine triennio).
Non da ultimo e di fondamentale importanza per i sindacati che hanno indetto lo sciopero è la questione della privatizzazione del rapporto di lavoro imposta dai tempi del governo Amato con il Dl.vo 29/1993 (che mantenne invece nella funzione pubblica e con le regole precedenti gli universitari, i magistrati, i militari ed altri); infatti la vera lotta dei docenti dovrebbe riguardare l’uscita della scuola (di tutta la scuola, dai collaboratori ai docenti) da quelle regole impiegatizie che impediscono per legge aumenti superiori all’inflazione programmata dal ministero dell’economia e che ci hanno tolto ruolo (precarizzandoci con gli incarichi a tempo indeterminato e determinato) e scatti d’anzianità biennali vigenti prima del contratto del 1995.
Questo è dunque l’antefatto allo sciopero e alla manifestazione del 10 novembre 2017, senza il quale perderebbe di significato la protesta pacifica cui ho partecipato.
Voglio raccontare ciò che ho vissuto e visto, da testimone diretta durante la manifestazione in oggetto, perché ritengo gravissimi i fatti accaduti a Roma in viale Trastevere davanti al MIUR.
Il 10 mattina, dunque, avevamo appuntamento per la manifestazione alle 9:30 davanti alla scalinata di viale Trastevere.
Tra docenti e ata eravamo qualche centinaio, sotto la scalinata di viale Trastevere, con striscioni e cartelli di protesta e null’altro.
Verso le 10:00 ha iniziato il suo intervento Piero Bernocchi (Portavoce Nazionale dei Cobas) e subito a seguire Stefano d’Errico (Segretario Nazionale di Unicobas Scuola&Università).
I due leader sindacali non hanno solo criticato, con interventi egregi, la legge 107/15 e il mancato rinnovo contrattuale, ma hanno espresso chiaramente la necessità di una maggior democrazia sindacale nella scuola e leggi che rendano possibile la presentazione in lista unica (in coalizione) entrambe le sigle sindacali a livello nazionale (e non scuola per scuola com’è dalla legge “Bassanini” del novembre 1997).
Verso le 11:30, terminati gli interventi di Bernocchi e d’Errico, docenti e ata aderenti alla manifestazione (ad occhio almeno 500 manifestanti) hanno cominciato a disporsi in corteo per raggiungere Palazzo Chigi.
A tal proposito voglio precisare che gli organizzatori della manifestazione dello sciopero del 10 novembre non sono degli sprovveduti e che conoscono bene il funzionamento degli scioperi – nonché delle manifestazioni – e delle leggi che li regolamentano, pertanto avevano comunicato in Questura, per iscritto, 15 giorni prima della manifestazione, i due presidi della manifestazione (Viale Trastevere e Palazzo Chigi) e verbalmente sempre alla Questura l’intenzione di raggiungere il secondo presidio (Palazzo Chigi) in corteo, la Questura non ha negato il permesso, ora – se qualcuno non lo sapesse – non si deve chiedere l’autorizzazione per fare una manifestazione, ma si deve comunicare in Questura il luogo in cui si intende manifestare, cosa fatta nei tempi canonici, e la Questura potrebbe negare tale evento solo per gravi problemi di ordine pubblico (cosa assurda, nonché eventualmente ridicola, nel caso di canuti e pacifici docenti).
Ritorno alla mia testimonianza. Dopo gli interventi di Bernocchi e d’Errico ci siamo disposti in corteo proprio per raggiungere Palazzo Chigi.
Gli organizzatori a quel punto sono andati a far presente che dovevamo raggiungere in corteo l’altro punto autorizzato (faccio presente che è così che si è sempre fatto da quando la Conferenza dei Servizi – cui guarda caso partecipano anche i sindacati Confederali – ha sottoscritto accordi pattizi discutibilissimi di restrizione al diritto di manifestazione e in aperta contraddizione con l’art.17 della Costituzione).
Da quel momento è iniziato il balletto del rilancio delle proposte da parte di chi è responsabile dell’ordine pubblico: hanno detto agli organizzatori che ci avrebbero fatto passare in corteo se fossimo stati almeno 400, ci hanno contato e con i numeri c’eravamo, così hanno detto che per partire dovevamo essere almeno in 500 e che, quindi, avremmo dovuto attendere un altro pezzo di corteo di precari Cobas.
Dopo poche decine di minuti il nostro tranquillo corteo in posizione statica è stato raggiunto dallo spezzone di corteo dei precari (tra cui lavoratori di callcenter TIM e della sanità) ci hanno detto che dovevamo essere ancora di più. Il corteo statico ha cominciato a gridare a gran voce “corteo corteo!”.
Gli organizzatori continuavano le trattative e i responsabili delle forze di polizia hanno fatto presente che non potevano farci partire perché avremmo bloccato il traffico (faccio presente che il traffico era in tilt proprio perche eravamo fermi).
Io ero nello spezzone di corteo bloccato. In quel momento un’ambulanza a sirene spiegate si è fatta largo tra i manifestanti, è stato a quel punto che la polizia è avanzata e ha cominciato a manganellare i manifestanti pacifici che cercavano di far passare il mezzo.
Sono state due le cariche successive e un docente dei Cobas, Davide, è stato accompagnato all’ospedale Santo Spirito e ricoverato per le gravi ferite alla testa.
Dopo la seconda carica della polizia noi gridavamo in coro urlando a tutta voce: “vergogna vergogna”!
È stato in quel momento che mi sono accorta della presenza degli idranti e della chiusura di tutte le strade d’accesso con camionette e polizia, mi sono sentita circondata, perché in quel pezzo di viale Trastevere non ci sono altre vie di fuga. Subito dopo è stato detto agli organizzatori che se i manifestanti avessero nascosto le bandiere ci avrebbero fatti passare in corteo.
Siamo rimasti disorientati per qualche manciata di minuti – proprio perché noi docenti siamo persone pacifiche e non ci aspettano il male da chi dovrebbe difenderci – stavamo per accettare e tutti stavamo per mettere via le bandiere.
In quel momento però i responsabili delle forze di polizia hanno cominciato ad aver da ridire anche sui cappelli indossati con la sigla sindacale stampata sopra, secondo loro dovevamo toglierli e nasconderli.
Un moto di orgoglio e dignità di ognuno dei presenti a quella manifestazione ci ha indotto a riprendere tutti i simboli e le bandiere e ad innalzarle al cielo fiere ed oneste.
I presenti hanno cominciato a parlare al microfono di libertà di espressione e di difesa della scuola pubblica facendo appello alle coscienze di quei poliziotti che avevamo di fronte, e che non sono i nostri nemici, ma che devono prender coscienza anch’essi che noi siamo solo docenti che hanno a cuore le idee che hanno studiato sui libri, che sono le stesse che intendiamo insegnare ai nostri studenti.
La scuola è l’unica possibilità di ascensore sociale e noi stavamo manifestando anche per loro e per i loro figli, che tutti i giorni custodiamo e cerchiamo di far crescere nelle nostre classi.
Non siamo noi i loro nemici.
Solo a quel punto i poliziotti hanno tolto il casco, ma noi siamo rimasti a presidiare fino alla fine denunciando l’accaduto anche davanti alle telecamere dei giornalisti accorsi, tra cui Rai news 24 e Rai 3 (che mi hanno detto che stavamo andando in diretta).
Ecco, noi che ancora crediamo all’alto valore della democrazia e che la difendiamo, pur prendendoci le botte, siamo i nuovi eroi, siamo coloro che sperano in un futuro migliore, coloro che ogni giorno sono in prima linea nelle proprie classi e che passano i valori alti della Carta Costituzionale di questa Repubblica ai propri studenti, coloro che non si arrendono a farla diventare una raccolta di carta polverosa, e che l’abbiamo difesa con tutta la nostra passione anche nei fatti durante il Referendum del 4 dicembre 2016.
Ho appreso solo dopo che alcune testate giornalistiche hanno reso pubblico l’evento e che anche due poliziotti sarebbero rimasti contusi, ma a tal proposito mi chiedo come può essere accaduto se eravamo a mani nude e loro in tenuta antisommossa?
Se loro avevano i caschi e i manganelli e noi solo bandiere e idee?
È d’obbligo ricordare che anche all’altra manifestazione – legittimamente richiesta e non vietata dalla Questura – quella dell’USB, è stato impedito di allontanarsi dal Ministero del Tesoro.
Questi fatti a mio avviso mostrano tutta la debolezza di chi ha usato violenza con i manganelli e la presenza di idranti.
Da chi è venuto l’ordine? In viale Trastevere non ho avuto modo di vedere nemmeno il Delegato del Questore (che dovrebbe avere ben visibile a tutti la fascia tricolore), l’unico che è autorizzato a dare ordine di carica. Qualcuno l’ha visto? Io no.
Credo, purtroppo, che il 10 novembre rappresenti una vera e propria frattura, una cesura da cui sarà difficile tornare indietro, una dimostrazione da parte del potere del fatto che vogliono avere libere le mani per legiferare senza dissenso.
Io credo che stiamo vivendo un momento storico davvero pericoloso, ma che, innanzitutto, se gli scioperi e le manifestazioni fossero inutili – come sostengono alcuni usando frasi stereotipate e scollate dal reale– non ci sarebbe stato motivo di limitarli né di cercare di offuscarne la memoria attraverso un sistema mediatico di restrizione dell’informazione, nemmeno di restringere il diritto allo sciopero e di manifestazione, tantomeno di usare la violenza fisica dei manganelli e quella psicologica degli idranti.
Duole molto anche non aver ricevuto nemmeno una dimostrazione di solidarietà da nessun Parlamentare e, tantomeno, che nessuno abbia fatto esplicita attestazione di solidarietà ai leader di Cobas e Unicobas, né politici della cosiddetta sinistra (per esempio quelli che ieri, 11 novembre, si sono riuniti al Brancaccio: da D’Alema al PRC – muti sull’accaduto e aridi al punto da non invitare neppure un sindacato di base – allineati a coperti sotto le gonne di “mamma CGIL”, autoreferenziali e con l’intenzione solo di superare lo sbarramento elettorale del 3%), né Parlamentari – che in un’occasione del genere dovrebbero sentire il dovere etico e politico di fare almeno un’interrogazione parlamentare sui fatti accaduti a Roma la mattina del 10 novembre –.
Per quanto detto e per quanto non mi è stato possibile dire in questa sede, mi auguro che tutti i docenti e tutti i lavoratori che stanno subendo vessazioni e intimidazioni, nonché conseguenze nefaste dalle politiche economiche e sociali si uniscano e tornino a riempire le piazze e a far rinascere una primavera dei diritti!
Che tornino a credere nei valori della democrazia e della libertà e li portino nella realtà quotidiana del vissuto di ciascuno, con coraggio!
E che comprendano che nella lotta per i diritti il sindacalismo di base è l’unico libero e realmente privo di interessi opachi e che senza il sindacalismo di base non si può andare da nessuna parte.
Barbara Gentili – membro Esecutivo Nazionale Unicobas CIB Scuola & Università