GDPR e "il nostro consenso" ai dati da parte del minore

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Il GDPR entrato in vigore dal 25 maggio 2018 conferma molte regole. Ne stabilisce, però, delle nuove. Tra queste ultime, possiamo inserire il consenso del minore. Prima “europeo” e poi “italiano” con qualche perplessità!

Il GDPR e il consenso del minore al trattamento dei suoi dati personali

Si legge nel GDPR e precisamente all’art. 8 comma 1:
Qualora si applichi l’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. 
Tale direttiva è stata ripresa nelle prime indicazioni del garante della Privacy (Febbraio 2018).  
Importante questo passaggio! Si formalizza giuridicamente, a livello europeo, l’età della “saggezza digitale” (16 anni). L’espressione è di M. Prensky (2009) che ha sostituito quella desueta di “nativo digitale (1999). Il principio trasmigra: dalla pedagogia al diritto! Certamente si entra nella maggiore età, ma il processo è lungo e l’obiettivo di “un uso avveduto della tecnologia per migliorare le nostre capacità” è un processo che dura tutta la vita!

Il decreto di adeguamento, il governo aveva due opzioni 

In questi mesi il governo poteva abolire “in toto” il decreto 196/2003, ma con eccesso di delega rispetto al disposto 163/17 che invita, invece, l’esecutivo ad “abrogare espressamente le disposizioni del codice in materia di trattamento di dati personali… incompatibili con le disposizioni contenute” nel GDPR.
Quindi la strada era obbligata: armonizzare il Codice Privacy (196/03)  con le direttive del GDPR. Da qui lo Schema di decreto legislativo (approvato l’8 agosto 2018) “recante disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento”.

L’autorevole parere del Garante della Privacy

Sul testo è stato sentito anche il parere non vincolante del Garante della Privacy. Ecco il risultato per quanto riguarda il consenso del minore, richiesto dalle società dell’informazione (Facebook, Instagram…) : “Con riferimento, poi, al consenso del minore in relazione ai servizi della società dell’informazione il Garante non condivide il limite dei 16 anni contenuto nell’art. 2-quinquies del Codice come modificato dallo schema di decreto, poiché tale limite non appare coerente con altre disposizioni dell’ordinamento che individuano, invece, a quattordici anni il limite di età consentito per esercitare determinate azioni giuridiche. Si pensi, fra le tante, alle disposizioni in materia di cyberbullismo che consentono al minore ultraquattordicenne di esercitare i diritti previsti a propria tutela contro atti di cyberbullismo nei suoi confronti (v. art. 2, c. 1, l. n. 71 del 2017).

La decisione, con qualche dubbio

Conclusione, i quattordici anni costituiranno il limite del “consenso italiano” richiesto al minore per il trattamento autonomo dei suoi dati personali.
Tutto bene? Personalmente avrei confermato i 16 anni come accesso alla “saggezza digitale”. Da docente quotidianamente a contatto con alunni e studenti conosco gli scriteriati e poco saggi comportamenti  dei “nativi digitali”. Navigazione con password a bassa complessità, gli smartphone sono spesso sprovvisti di antivirus e di altri filtri,i profili social risultano pubblici, la condivisione di foto, video e testi è una pratica normale e non percepita nei suoi rischi civili e penali.  A  questo si aggiunge la loro fascinazione verso l’anonimato, sinonimo di invisibilità (tecnicamente sono due aspetti diversi). E per concludere la loro “attrazione empatica”, soprattutto nel Dark web,  verso la procedura “end to end” che favorisce la cancellazione in default di testi, video, foto ( modello Snapchat),che spesso si configurano nel  sexting e nel grooming (addescamento online).

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