Una triste e paradossale considerazione sula scuola è stata esternata ieri da Marcello Pacifico, Presidente Anief. Lo fa attraverso un suo comunicato stampa. In particolare, Pacifico si chiede se è giusto ipotizzare un incremento medio pari a 17 euro per lo stipendio dei docenti e ‘regalare’ 780 euro a chi non lavora (reddito di cittadinanza). Ma leggiamo nel dettaglio il comunicato Anief.

Ai docenti aumenti medi di 17 euro, a chi non lavora 780 euro di reddito di cittadinanza: è giusto?

Un lavoratore non può essere abbandonato al suo destino, percependo stipendi sostanzialmente fermi per un numero impressionante di anni. “È giusto dare 17 euro netti di aumento agli insegnanti, a fronte di un reddito di cittadinanza assegnato a chi non lavora?”. Lo ha chiesto il leader dell’Anief Marcello Pacifico, commentando i sussidi che il governo M5S si appresta ad approvare nella manovra per i cittadini che non lavorano.

“Siamo arrivati a questo rinnovo contrattuale – ha ricordato il sindacalista autonomo – dopo dieci anni di blocco e già in quell’occasione avevamo definito gli aumenti ‘miseri’ per il 2016-2018”, a seguito dell’accordo sottoscritto all’Aran nel febbraio scorso: ora ci viene detto dice che “per il futuro si intende cominciare a sbloccare quell’indennità di vacanza contrattuale che in assenza dell’aumento stipendiale servirebbe a fornire un minimo di incremento a chi lavora per enti pubblici. Ma i numeri sono sbagliati. Perché se l’inflazione è salita di 12-14 punti negli ultimi dieci anni, gli stipendi”, anche se incrementati ora dell’1,9%, “rimangono di fatto sempre fermi, con aumenti di 17 euro medi che sono praticamente inutili e non sufficienti per dei cittadini meritevoli che lavorano per lo Stato”.

Il Ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, ha detto che si vuole valorizzare la categoria? “Il Governo – ha replicato Pacifico – ha detto che vuole mettere 7 miliardi per finanziare il reddito di cittadinanza; noi abbiamo scoperto che basterebbe prendere 5 di quei miliardi per andare, al di là degli effettivi aumenti, ad allineare i compensi dei dipendenti pubblici almeno al procedere costo della vita. Perché è giusto finanziare un reddito per chi sta cercando un lavoro, ma è altrettanto indispensabile portare lo stipendio-base dei lavoratori al livello dell’inflazione”.

“Questo processo – ha detto ancora il leader dell’Anief – è già avvenuto nel settore privato, come i metalmeccanici e i metallurgici, dove negli ultimi dieci anni, nel periodo della crisi, si è avuto comunque un incremento di oltre il 12%. Invece, nel comparto pubblico abbiamo avuto appena il 5% complessivo nell’ultimo triennio. Confindustria e sindacati hanno stabilito che gli incrementi stipendiali non possono essere inferiori all’inflazione. Noi, con degli specifici emendamenti alla Legge di Stabilità, chiediamo 5 miliardi per allineare gli stipendi degli statali all’inflazione. Qualsiasi cifra inferiore sarebbe sotto al minimo reddito che dovrebbe avere un lavoratore che offre un servizio professionale”.

A proposito della riforma pensionistica, Pacifico ha detto che “sulla famosa quota 100 sono stati investiti altri 7 miliardi. Noi abbiamo fatto notare, anche sulla base dei recenti studi, come Eurydice, che l’Italia possiede la popolazione docente più vecchia al mondo, con un gap altissimo docenti-discenti; inoltre, quella dell’insegnamento è una professione che porta ad alto rischio di stress da lavoro correlato e che conduce quindi al burnout. Tuttavia, in Europa si va in pensione a 63 anni, mentre in Italia ora a 67 anni”.

“Adesso, con quota 100, si darebbe la possibilità di andare via prima anche nel nostro Paese, ma poiché varrà in prevalenza il sistema previdenziale contributivo, come previsto dalla riforma Fornero, il dipendente rischia di ritrovarsi con il 30% dell’assegno tagliato. Significa che chi lavora tutta una vita, per 43 anni, si ritrova ad andare in pensione con un assegno di mille euro, quando ora qualcuno” al governo “vorrebbe introdurre 780 euro di assegno minimo, peraltro nemmeno coperto da contributi. Certamente, noi dobbiamo sostenere chi non lavora e cerca di essere utile, aiutandolo ad avviare un percorso lavorativo. Ma va anche protetto chi ha lavorato tanto e deve essere premiato riconoscendogli un assegno giusto”, ha concluso il sindacalista Anief-Cisal.

Per questi motivi, Anief ha dunque chiesto di introdurre per i dipendenti pubblici il salario minimo di cittadinanza allineato all’inflazione, proponendo degli emendamenti agli articoli 21 e 34 della Legge di Bilancio che in queste ore risultano all’esame finale delle commissioni di competenza della Camera, per poi approdare in Aula a fine novembre: nel testo proposto dal giovane sindacato, si chiede in particolare il “riallineamento degli stipendi attraverso l’integrale recupero, in percentuale, del tasso di inflazione reale certificato dall’Istat, superiore al 12%”, con la copertura finanziaria “garantita dalle risorse stanziate dal Fondo per il reddito di cittadinanza”.

Le motivazioni dell’emendamento all’articolo 21, in particolare, chiariscono che “rispetto al blocco contrattuale avvenuto tra il 2008 e il 2016 e la progressiva perdita d’acquisto dei salari dei dipendenti pubblici in contrasto con gli articoli 36 e 39 della Costituzione”, con tale modifica, “si dispone il riallineamento degli stipendi attraverso l’integrale recupero, in percentuale, del tasso di inflazione reale certificato dall’Istat, superiore al 12%”.