Quota 100 l’esodo è il risultato prevedibile di un malessere

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Quota 100, l’ipotesi di un esodo significativo diventa concreta. E’ il sintomo di un malessere. Esprime il disagio verso una professione percepita non più gratificante. Le responsabilità politiche e sindacali.

Quota 100 l’ipotesi di un esodo significativo

Quota 100: si fa concreta la possibilità di un esodo dalla scuola. La Cisl-scuola ha commissionato un questionario, chiedendo i motivi della richiesta di anticipare l’uscita dal mondo del lavoro. La dichiarazione di Maddalena Gissi non lascia dubbi:
Nelle nostre sedi c’è grande affluenza di docenti che vogliono lasciare la scuola anticipatamente per difficoltà dal punto di vista professionale: l’esodo dalla scuola potrebbe superare le 30 mila unità

Non poteva essere diversamente

Era facilmente prevedibile! L’ipotesi ora è supportata anche da stime. Se sarà confermata, superiamo le richieste volontarie presentate lo scorso anno (25.000, dato Miur) e quelle relative per il 2017 (20.000, dato “La Repubblica”).  La previsione per la quota 100 diventa preoccupante, se si pensa che chi deciderà di approfittarne è disposto a perdere anche il 30%, rispetto a quanto previsto dalla Legge Fornero.
Per chi fa quotidianamente esperienza d’aula, non è difficile risalire alle cause.
Più volte ho scritto che la scuola è malata. La condizione non è assimilabile a un raffreddore, a un’influenza. Rimanda a una malattia più grave, quasi irreversibile. Questo stato si declina nel profondo disagio, mal-essere degli insegnanti. Del resto se i docenti non si riconoscono più nelle decisioni politiche, sindacali che rimandano a un profilo diverso da quello ideale, non resta che “chi è causa del suo mal, pianga se stesso“. In altri termini, l’Amministrazione i sindacati non sono più percepiti come  soggetti “accanto, ma vs l’insegnante. Egli non si sente più “coccolato” (“la cura” di Heideggeriana memoria), ma continuamente vessato e stalkerato.

Le tante criticità esistenti della professione docente

Andando sul concreto, elenchiamo sinteticamente le criticità.
1) La scuola ha abbandonato le finalità costituzionali (la formazione dell’uomo e del cittadino) a vantaggio di un insegnamento sempre più simile a un addestramento. La scelta stride con il profilo storico del docente, più incline agli aspetti formativi;
2) le classi pollaio. Ha dichiarato l’On. L. Azzolina “Nelle scuole italiane quasi una classe su due ha più di 20 alunni e una su dieci ne ha più di 25, dunque è sovraffollata. In queste condizioni, che riguardano ben 190mila classi, gli insegnanti non riescono a offrire una formazione di qualità e gli studenti faticano ad apprendere” Questa configurazione ha favorito la diffusione di un profilo addestrativo del sistema-scuola, aumentato il burnout e il senso di frustrazione tra i docenti;
3) la lunga vacanza contrattuale durata quasi dieci anni (2010-2018) che ha “partorito” un aumento di 85€ lordi. Le prospettive future sono ancora più nere, anche con il governo Lega-M5s;
4) l’aumento dei carichi di lavoro non adeguatamente retribuiti;
5) il timore di una nuova riforma “modello Fornero” che neghi i diritti acquisiti e altro ancora, difficilmente ipotizzabile oggi. L’immaginazione dei politici è infinita, quando si tratta di decidere del portafoglio di altri;
6) la scarsa considerazione sociale percepita anche attraverso i tanti casi di violenza fisica e verbale, i periodici rilievi su una professione “fortunata” (“i tre mesi di vacanza estivi, i quindici giorni a Natale…)

Non ultimo la mancata diversificazione della carriera

La professione docente è altamente usurante.  Lo ripete continuamente Vittorio Lodolo D’Oria, medico e autore di numerosi studi sul burnout ed in particolare su quello che colpisce gli insegnanti. Soprattutto negli ultimi anni, quando si ha la sensazione di aver dato ormai tutto.
Scrivevo pertanto su questo portale che i restanti cinque anni dalla pensione dovrebbero prevedere un diverso impiego del docente, rispetto a quello storico di insegnamento in classe. Non ci sono alternative al burnout, sindrome quasi naturale a fine carriera.
Pertanto, se questa è la situazione è comprensibile che migliaia di docenti chiedano di andare in pensione, anche con significative decurtazioni, per riappropriarsi della propria vita, fatta di interessi e hobby e non di un lavoro avvilente e spesso ridotto a quello di un parcheggiatore o babysitter.

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