È stato reso noto il verdetto della seconda plenaria del Consiglio di Stato chiamata a riesaminare la questione dei diplomati magistrali. I giudici di Palazzo Spada non hanno inteso discostarsi dall’orientamento già espresso lo scorso 20 dicembre 2017. Con una lunghissima sentenza che risponde punto per punto a tutte le obiezioni portate in giudizio dai ricorrenti principali e dai controinteressati, sono state rese note tutte le motivazioni del nuovo respingimento.
I diversi motivi alla base del secondo diniego
La nuova plenaria sbarra nuovamente le porte delle graduatorie ad esaurimento per i diplomati magistrali. In attesa delle prime reazioni a caldo da parte degli avvocati che hanno patrocinato i ricorsi, siamo in grado di analizzare alcuni passaggi della sentenza che non mancheranno di suscitare estrema sorpresa e sgomento. Quello principale riguarda quella che secondo i giudici di Palazzo Spada è la pretesa di estendere erga omnes l’annullamento del DM. 2014 anche a chi non aveva proposto ricorso.
Non si possono inserire tutti
Uno dei punti che lascia maggiormente sorpresi è quello nel quale i giudici affermano in pratica che se si comincia a inserire qualcuno, viene giù tutto l’intero sistema di reclutamento. Recita così il punto 27. Si tratta di un tipo di iniziativa giudiziale fondata su presupposti che, se fossero accettati, darebbero vita a risultati paradossali, forieri di una grave incertezza, e, soprattutto, contrastanti con i principi fondamentali della giustizia amministrativa. Sarebbe nella sostanza come ammettere che chi non ha mai partecipato ad una procedura lato sensu concorsuale possa direttamente insorgere contro (neanche la graduatoria, ma) il provvedimento che dispone l’aggiornamento (o lo scorrimento) della graduatoria, pretendendo di esservi inserito, ed assumendo come dies a quo del termine per proporre il ricorso la data di pubblicazione della sentenza favorevole ottenuta da qualche altro soggetto nelle sue stesse condizioni. Con l’aggravante, nel caso delle graduatorie ad esaurimento, che queste vengono aggiornate periodicamente, il che implica che ogni successivo aggiornamento determinerebbe la riapertura dei termini per ricorrere.
La vicenda oggetto del presente giudizio è emblematica di tale “rischio”: nel caso di specie, infatti, il ricorso è stato proposto neanche contro il d.m. 235 del 2014, ma contro il successivo d.m. di aggiornamento n. 400 del 2017, con una impugnazione proposta dopo oltre dieci anni dall’ultimo dei decreti ministeriali di inserimento nelle GAE, prima della definitiva chiusura delle stesse ad opera dell’art. 1, comma 605, legge n. 296/2006.
In allegato la Sentenza