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Sebbene la maggioranza di Governo si ritenga soddisfatta dei contenuti del Decreto Scuola, la stessa felicità non viene ravvisata, per molti aspetti, da chi nel mondo scolastico ci lavora. E, tra questi, sono ancora una volta gli insegnanti Diplomati Magistrali a essersi sentiti di nuovo presi in giro, dato che le loro richieste sono state accolte solo in piccolissima parte.

Ma davvero hanno vinto i Dm?

In molti post sui social si è letto, a tratti in maniera critica, che i Dm hanno ottenuto ciò che volevano. Ma è davvero così?

In realtà il Decreto Scuola ha solo riconfermato il paracadute previsto dal Decreto Dignità dell’anno scorso ai fini della continuità didattica, consentendo la trasformazione dei contratti da tempo indeterminato a tempo determinato (al 30 giugno 2020) a coloro che risulteranno essere destinatari di sentenza di merito negativa. In questo modo viene tolta la spada di Damocle che in questi mesi giaceva ferma sulla testa dei Diplomati Magistrali in ruolo con riserva e timorosi di un immediato licenziamento.

Ma per il resto nulla cambia per questi insegnanti, per i quali di certo non può parlarsi di vittoria.

Le criticità del Decreto Scuola

Nel Decreto Scuola, sebbene siano stati introdotti punti importanti e positivi, quali ad esempio l’allargamento del periodo conteggiato nei servizi ai fini della partecipazione al nuovo Concorso Straordinario (che pare sia bandito entro i primi mesi del 2020), la trasformazione delle graduatorie d’istituto in graduatorie provinciali per le supplenze (rimettendo le convocazioni ai vari Usp e non più alle segreterie scolastiche) e la possibilità di cambio regione/provincia ai fini dell’assunzione per i precari presenti nelle Gae e nelle GM dei concorsi (per citarne alcuni), si riscontra un’ennesima disparità di trattamento sempre nei confronti dei Diplomati Magistrali.

Infatti, l’anno in corso svolto come supplenza al 30 giugno a seguito di vertenza negativa, non verrà conteggiato ai fini della ricostruzione carriera né ai fini della maturazione dell’anzianità economica. Un’ulteriore ed evidente penalizzazione dunque ai danni di questi insegnanti, che non solo si sono visti negare in questi anni le Gae, ma che dovranno anche attendere lunghi anni in chilometriche graduatorie di merito (perché solo il concorso per titoli ed esami è loro concesso per accedere al ruolo), vedranno la pensione a quasi 70 anni e non possono nemmeno contare su percorsi abilitanti (come sarebbe potuto essere un ritorno al Tfa per posto comune).