Il mondo occidentale dichiara guerra a sè stesso, o meglio a quella parte di sé che nei due secoli precedenti aveva imboccato la via delle Costituzioni , delle elaborazioni del pensiero politico intorno alla libertà e all’ uguaglianza.

L’ immunità di gregge è in questa cessione senza ripensamenti nè condizioni della libertà in tutte le sue declinazioni e dei diritti individuali e sociali in nome della superiore “salute pubblica”.

Così una sera di marzo, nell’ anno settantaduesimo della Costituzione Italiana, i Ministri del governo , riuniti in adunanza consiliare per varare misure straordinarie a sostegno dell’ “economia” di un Bel Paese desertificato da una, tanto virulenta (così dicono), quanto misteriosa pandemia mondiale, assestano il colpo definitivo alla “libertà d’ insegnamento”. “ Ma non è vero!”, esclamerà il mio unico , coraggioso ed incauto lettore:” nel decreto dell ‘ Esecutivo non c’ è traccia di quello che scrivi!

Perchè perdi tempo in queste “fanfaluche sindacali”. Mi spiace smentire quell’ impavido ma lo inviterei a riflettere su una norma contenuta in quel decreto che , considerata l’ emergenza sanitaria, tutti hanno accolto con sollievo: ossia il valore direttamente abilitante della laurea in Medicina, senza necessità di sostenere l’ esame di Stato: abbiamo bisogno di medici per fronteggiare la Pandemia, per salvare vite umane (sic!) e quindi procediamo per le “vie brevi”, oltretutto con tanti giovani laureati “a spasso” o addirittura “in fuga”.

Il ragionamento da cui scaturisce apparentemente e a cui induce la norma è di una disarmante semplicità, anzi banalità , il cosidddetto “uovo di colombo”, la scoperta dell’ acqua calda, non dissimile da quello cui le 11 operaie del consiglio di fabbrica di un’ azienda tessile, nella piéce teatrale di Stefano Massini poi approdata al cinema con il il film di Michele Placido “7 minuti”, sono indotte con la minaccia di perdere il lavoro chiamate ad accettare o rifiutare la semplice clausola della pausa pranzo che, per misteriose esigenze di produzione legate alle richieste della proprietà acquirente della fabbrica, deve scendere da 15 a 8 minuti.

Non c è da pensarci: si cedano pure i 7 minuti senza riflettere. Ed invece, l’ invito dell’ anziana delegata sindacale, quello che dà seguito all’ azione scenica, è proprio quello alla riflessione. Così il mio invito al mio unico lettore è esattamente questo : la riflessione, il pensiero, la costruzione di un “giudizio di fatto” fondato sul ragionamento e non sulla banalizzazione dell’ emozione e sul manicheismo di una scelta biunivoca, che in un momento come questo, porta a pensare il mondo servendosi esclusivamente dei “giudizi di valore.

Ma che cos’è il valore legale del titolo di studio? “ Volendo essere sintetici al massimo si potrebbe dire che con l’espressione “valore legale” si fa riferimento a quella particolare condizione, sul piano dell’efficacia oggettiva, nella quale l’ordinamento italiano pone i titoli di studio riconosciuti. Ad essi soli la legge annette l’idoneità a produrre determinati effetti giuridici.

Un titolo attesta, difatti, in primo luogo il raggiungimento di un determinato tipo o livello di preparazione; e,nel caso di titoli riconosciuti, questa attestazione ha un rilievo particolare essendo fornita di “certezza legale e valevole erga omnes” (D. Costantini).” “ Non solo: il possesso di un titolo avente valore legale é requisito indispensabile per la prosecuzione degli studi e ha anche effetti più vasti, estranei all’ambito puramente accademico, essendo presupposto necessario per l’accesso a concorsi ed esami di abilitazione all’esercizio delle professioni disciplinate dalla legge.

E’ soprattutto sotto quest’ultimo aspetto, com’é intuibile, che si verifica la conseguenza di maggior “peso”, per così dire, dell’ istituto del valore legale dei titoli.

Due le due disposizioni fondamentali che rappresentano i cardini dell’istituto. Per primo vi é l’art. 167, R.D. n.1592/1933, il quale recita: “ le Università e gli Istituti superiori conferiscono, in nome della Legge, le lauree ed i diplomi determinati dall’ordinamento didattico delle scuole o Università che li rilasciano.”.

Un assetto questo che, pur in un quadro di forti cambiamenti la cui analisi ci porterebbe troppo lontano, é stato ripreso e confermato dalla riforma universitaria del 1999. Con chiarezza l’art. 43, III, D.M. 509/1999 ribadisce che “i titoli conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, hanno identico valore legale” (corsivo aggiunto). “ Chiaramente ogni intervento normativo e a maggior ragione ogni ricostruzione della legislazione vigente nel nostro Paese non può prescindere dal confronto con la Carta Costituzionale.

La Costituzione è il “ceppo” sul quale si innestano tutti i rami dell’ordinamento giuridico; e tanto più lo é per l’ambito dell’istruzione, che tocca punti nevralgici legati allo sviluppo e alla stessa natura della persona umana.

I Padri Costitueni hanno avuto queste problematiche ben presenti tra le prime e le più urgenti; e non a caso all’istruzione sono dedicati gli artt. 33-34 della Costituzione, inquadrati nella prima parte, intitolata ai “diritti e doveri dei cittadini”, e più specificamente nel Titolo II, dedicato ai “rapporti etico-sociali”, nel quale trovano spazio temi di prim’ordine come la salute e la famiglia.

“Ci troviamo dunque in quel gruppo di norme che secondo la scienza costituzionalistica fissano i “valori” fondanti del nostro ordinamento o, se non si accoglie questa visione, senz’altro almeno ne tracciano quelle che si possono tranquillamente definire le coordinate fondamentali di esistenza.

Volendo esprimersi con un noto studioso, é in questa serie di articoli che si ritrovano le “clausole fondamentali” di quel “patto” che dà vita al nostro ordinamento democratico (Bin, Capire la Costituzione, Bari, 1999)”. Le norme dedicate all’istruzione sono per giunta tra quelle dotate di una natura particolare, che le differenzia da altre che sanciscono diritti “classici”, come ad esempio libertà personale, religiosa, di pensiero ecc. Infatti, articoli come quelli del Titolo II, Parte I, Cost. non si limitano a riconoscere formalmente un diritto o una libertà, ponendo quindi un limite “in negativo” all’opera del legislatore ordinario, ma postulano anche l’esigenza di “promuovere” concretamente tali diritti e libertà, segnando la strada alla normativa futura.

Quindi il vincolo che ne risulta per la legge é doppio: in negativo, per quanto riguarda l’intangibilità della sfera delineata dalla norma costituzionale, gerarchicamente sovraordinata; ed in positivo, perché si assume che il legislatore non possa andare contro l’esigenza di “promozione” sancita dal Costituente Si pensi all’incipit, piuttosto famoso, dell’art. 33 : “l’arte e la scienza sono libere e libero ne é l’insegnamento”, o a espressioni come quelle che prevedono la piena libertà dei privati nell’istituire scuole e istituti di educazione (c.III), o ancora alla previsione di equipollenza di trattamento fra alunni delle scuole statali e non statali (c.IV). In realtà, leggendo bene il disposto costituzionale, non si può fare a meno di notare come, se vi é un modello che la Carta ha ben presente “in mente ”, se vogliamo, é proprio quello del valore legale.

Pochi dubbi in proposito lasciano i correttivi alle affermazioni precedentemente ricordate: in primo luogo, quel noto “senza oneri per lo Stato” riferito alla petizione di principio sulla libertà dei privati di cui al terzo comma; secondariamente, il fatto che l’equipollenza di trattamento del comma IV va riferita, si badi, agli istituti “che chiedono la parità”: quattro parole che lasciano intendere, a contrariis, come di regola le scuole e gli istituti privati non siano da ritenersi pari a quelli statali.

Ancor più chiarificante in merito è il comma II “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione”, e in questo senso é da leggere anche l’ultimo comma, dove si afferma l’autonomia universitaria “nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”.

Da quanto detto si capisce bene come il quadro composto dall’art. 33 Cost. sia quello di una scelta a favore della massima libertà nel campo dell’istruzione, temperata però e regolata da norme che definiscono assetti ben precisi.

Fra queste norme sono da annoverare sicuramente quelle che sanciscono il valore legale dei titoli di studio. Ma allora può la norma di un Decreto Finanziario, di una legge di Bilancio , approvata in una situazione di Emergenza contraddire il dettato Costituzionale? Cosa è accaduto?

Come ci si è potuti accorgere così all’ improvviso che non c’ erano medici a sufficienza nel Bel Paese? Quali politiche hanno determinato questo stato di cose? Forse il mio unico lettore ricorderà che nel 1989 un Movimento Sudentesco quello della Pantera, occupò gli atenei italiani, a cominciare dall’ Univeristà di Palermo e dalla Sapienza di Roma contro il progetto di riforma “Ruberti”.

Quel progetto prevedeva una trasformazione netta in senso privatistico delle Università italiane, poiché permetteva il finanziamento privato delle ricerche e l’ingresso delle aziende nei consigli di amministrazione degli Atenei e costituiva la piattaforma di lancio per l’ introduzione del “numero chiuso” ed i test d’ ingresso alle facoltà Universitarie come primo del mercato screening del mercato del lavoro, il presupposto per l’ abolizione del valore legale del titolo di studio che, come una commissione parlamentare d’ inchiesta, presieduta ( guarda, guarda) da Tina Anselmi, la madre nobile del Servizio Sanitario Nazionale, scoprì essere una delle riforme auspicate dal “Piano di Rinascita Democratica” della Loggia Massonica P2.

L’introduzione del numero chiuso nelle facoltà universitrie in particolare in quelle di Medicina risale al 1997, quando l’allora Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ortensio Zecchino, istituì con un decreto ministeriale il numero chiuso nazionale. Trent’ anni dopo quelle riforme i giornalisti” scoprono”, nel bel corso della pandemia da Coronavirus, che il numero dei medici laureati e abilitati allo svolgimento della professione tramite l’ esame di Stato è insufficiente a coprire le esigenze determinate dall’ emergenza sanitaria e i membri dell’ Esecutivo di Governo infilano la norma che bypassa l ‘ Esame di Stato, in un Decretazione d’ Urgenza.

Chi stabilirà ora la certezza giuridica, valevole erga omnes sul tipo di preparazione acquisita da chi consegue una laurea in medicina? Ovvio: la sua Univeristà di proveninenza ed il posto in classifica che essa occuperà secondo le valutazioni di una qualche agenzia di rating preposta a tali valutazioni, un’ Agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca.

Ovviamente questa Agenzia esiste già: si chiama ANVUR ed il suo compito principale riguarda la sorveglianza e la valutazione di tutte le attività delle università italiane, in modo da poter coadiuvare il MIUR nell’erogazione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), la principale fonte di finanziamento prevista per le università italiane, con lo scopo di premiare le università più “virtuose”, per qualità della didattica, offerta formativa e progetti di ricerca in atto o presentati per il futuro.

E’ una curiosa coincidenza o il segno di una continuità di precise ed organiche scelte politiche le quali anziché privilegiare gli investimenti per potenziare le istituzioni pubbliche ed il diritto allo studio ed alla salute dei cittadini viaggiano sistematicamente in direzione opposta? Non dissmimilmente a corollario della Decretazione del Consiglio dei Ministri , la Ministra (il femminile di stampo anglossassone del sostantivo appare d’ obbligo anche se a me fa venire l’ oritcaria) con un video messaggio “sparato sui social”, ci comunica che 85 milioni di Euro sono stati appena stanziani dal Miur a sostegno delle Istituzioni Scolastiche per dotarsi immediatamente di piattaforme e strumenti digitali per l’ apprendimento a distanza nonchè per formare il personale scolastico sulle metodologie e tecniche per la didattica a distanza.

Al di là delle considerazioni sulle conseguenze pedagogiche, filosofiche, psicologiche, neuroscientifiche che una simile scelta politica comporta ve ne è una di carattere giuridico. Come ben sanno gli addetti ai lavori, il Dlgs. 62 del 2017, applicativo della Legge 107/2015 ha dettato le nuove norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo d’ istruzione e in materia di esami di stato del secondo ciclo , stabilendo un unico nesso e mettendo in una sorta di “paniere” la certificazione delle competenze, la valutazione, le unità didattiche legate alle autocompetenze, il quadro nazionale delle qualifiche, portando così ad assegnare all’ Invalsi, istituto Nazionale La Valutazione de Sistema d’ Istruzione, cugino dell’ Anvur, il Compito di Certificare questo “paniere” indispensabile a coloro che vorranno entrare nel mercato del lavoro.

Ha in tal guisa, di fatto, eroso da dentro il valore legale del titolo di studio che le scuole secondarie di primo e secondo grado rilasciavano. A questo si aggiunga che nella situazione contigente, con un anno scolastico interrotto alla luce dell’ emergenza pandemica, l’ unico istituto in grado valutare a bocce ferme gli studenti costretti a casa, utilizzando prove nazionali, standardizzate, somministrate a distanza , è proprio l’ Invalsi con buona pace di tutti. E’ un caso? E’ il frutto della pandemia?

Io non lo credo. Nello scorso ottobre sono stata invitata ad un convegno che l’ allora Vice Ministra, oggi Ministra dell’ Istruzione Lucia Azzolina, ha organizzato presso la camera dei deputati. Il tema? “PROMUOVIAMO LA SCUOLA: INNOVAZIONE DIDATTICA, UN PONTE PER IL FUTURO”.

Al tavolo dei relatori, fra gli altri, gli unici titolati a parlare di Scuola, c’ erano Attilio Oliva dell’ Asoociazione TREELLE e Andrea Gavosto direttore della Fondazione Agnelli, appassionati sostenitori dell’ unica innovazione didattica possibile: quella per competenze”, possibilmente acquisite con un apprendimento a distanza” perchè sinceramente preoccupati del “troppo tempo che i ragazzi passano sui banchi”(sic!), del calo delle nascite e del conseguente calo della popolazione scolastica, calo che a loro dire richiederebbe una profonda ristrutturazione delle risorse umane impiegante nella scuola (arisic!) e , nemmeno a dirlo, sostenitori implacabili del ruolo dell’ Invalsi.

A quel convegno ho ripensato prima di Natale, quando Fioramonti, si è dimesso da guardasigilli della Minerva e Lucia Azzolina, senza batter ciglio e senza “pregiudizi di bilancio” ha preso il suo posto. Ed a quel convegno penso quando, come surrogato della valutazione in presenza, la Ministra Azzolina prefigura di fatto una valutazione a distanza.

Io spero possa pensarci anche tu mio caro, coraggioso, impavido, paziente lettore e riflettere. C’ è una differenza fondamentale che passa tra l’ addestrare i ragazzi e l’ appassionarli: per fare la prima cosa ci vuole un bravo domatore o una buona piattaforma digitale , per appassionarli alla ricerca ed al pensiero, è necessario un insegnante. Forse Boris Johson quando parlava di immunità di gregge intendeva alludeva proprio a questo.

Unicobas Scuola & Università

per l’esecutivo Nazionale

Alessandra Fantauzzi