L’aumento delle temperature nel nostro Paese e la parabola discendente che sembra aver intrapreso l’epidemia da coronavirus potrebbero indurre a pensare che il virus possa indebolirsi ulteriormente con l’arrivo dell’estate e del gran caldo. È proprio così? ‘Il Corriere della Sera‘ lo ha chiesto agli esperti.
Il Ministero della Salute ha scritto: ‘Non esistono evidenze scientifiche che esporsi al sole o vivere in Paesi a clima caldo prevenga l’infezione dal nuovo coronavirus. I casi di Covid-19 sono stati registrati anche in Paesi con clima caldo’.
Coronavirus, le ricerche riguardanti il clima caldo
Vediamo l’esito di alcune ricerche effettuate sul virus. L’Università del Colorado a Denver ha provveduto ad incrociare i dati sulla popolazione e la latitudine con il numero di casi di Covid-19, riscontrando che i positivi mostrano una prevalenza maggiore in regioni a una latitudine di 30 gradi o superiore, prevalenza non spiegata dal numero assoluto di persone che abitano quelle stesse zone.
Altre comparazioni indicherebbero una significativa riduzione della frequenza dei casi quando la temperatura media è superiore a circa 22 gradi Celsius. In ogni caso lo studio non dimostrerebbe una ‘verità’ sul comportamento del virus ma servono altre ricerche in tal senso.
Una ricerca di fine marzo dell’Università Statale di Milano mostra come i tassi di crescita del Covid-19 a marzo abbiano raggiunto il picco in regioni dell’emisfero settentrionale con temperature medie di 5°C e umidità relativa di 0,6-1,0 kPa. A giugno sarebbero i Paesi dell’emisfero australe particolarmente a rischio mentre l’Italia passerebbe dalla fascia peggiore ad una migliore.
Secondo uno studio della Johns Hopkins University effettuata dal MIT di Boston il numero massimo di casi da coronavirus si è verificato in regioni con temperature comprese tra 3 e 13° C. Al contrario, Paesi con temperature medie superiori a 18° C hanno visto meno del 5 per cento dei casi totali.
‘Il Corriere della Sera’ sottolinea, comunque, come nessuno di questi studi abbia ricevuto una revisione scientifica cosiddetta ‘da pari’, da parte, cioè, di altri scienziati che sottopongano i risultati a controllo.
Non si sa quanto possano incidere la temperatura e il grado di umidità. Per il momento, ci si affida alle considerazioni che valgono per tutti i virus a trasmissione aerea come l’influenza, ovvero che gli spazi chiusi più affollati in inverno facilitano il contagio tra persone e che le vie aeree, specialmente nasali, col freddo sono solitamente più vulnerabili al passaggio dei virus.