Aggiornare e riaprire le graduatorie è una delle tematiche che verrà discussa in Parlamento, mentre si esamina il decreto scuola. Dopo un passo indietro del Ministero dell’Istruzione, che aveva deciso di rinviare la procedura al prossimo anno, pare che la decisione possa essere rivista proprio in Parlamento. Ma di quali graduatorie si tratta? Quelle d’Istituto, o quelle provinciali previste nel decreto di dicembre?
Riapertura e aggiornamento graduatorie: quali?
Il MIUR, nel decreto scuola, ha deciso di posticipare al prossimo anno l’aggiornamento delle graduatorie e dei nuovi inserimenti in II e III fascia. Qualche giorno dopo, prima la ministra Azzolina e poi alcuni rappresentanti del M5S, hanno dato segni di voler rivedere la decisione. Ma per capire cosa intendono, bisogna leggere bene il commento della Azzolina. La ministra ha scritto su Facebook: “L’unica strada, per evitare di riversare centinaia di migliaia di lavoratori nelle scuole per presentare ed elaborare le domande, in piena emergenza Coronavirus, sarebbe quella di accelerare sulla provincializzazione delle graduatorie, digitalizzando il sistema. Per farlo, serve un regolamento che ci consenta, appunto, di organizzare su base provinciale le graduatorie e di gestirle attraverso i nostri uffici territoriali, sgravando le scuole. Lo avevamo inserito nel decreto scuola dello scorso dicembre, lì c’è la norma.”
Via libera alle graduatorie provinciali?
Quello che intende Lucia Azzolina, quindi, è “organizzare su base provinciale le graduatorie e gestirle attraverso gli uffici territoriali”. Per cui, a riaprire non sarebbero le graduatorie di istituto ma quelle provinciali. Queste graduatorie sono distinte per posto e classe di concorso e sono formate:
- dai docenti abilitati che non sono inseriti in GAE,
- da chi ha un titolo di laurea idoneo all’inserimento nella III fascia (per i nuovi inserimenti occorre anche il possesso dei 24 CFU).
C’è chi, come la Lega, opta per una strada diversa a causa del problema ‘tempo’ e vuole rinviare la provincializzazione al prossimo anno. In ogni caso, l’ultima parola spetta al Parlamento.