Comunicato Movimento nazionale docenti specializzati e specializzandi sul sostegno

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Riceviamo e pubblichiamo comunicato stampa inviatoci dal Movimento nazionale docenti specializzati e specializzandi sul sostegno.

Prosegue il business delle abilitazioni all’estero a discapito degli alunni

Dalla pubblicazione delle graduatorie provinciali, negli ultimi giorni, emerge un dato considerevole rappresentato dal crescente aumento del numero di candidati abilitati all’estero e inseriti con riserva nei relativi elenchi di I fascia, con percentuali elevatissime soprattutto in province meno estese. 
Si segnala a esempio che, nelle GPS di Trapani e di Reggio Calabria, un docente di sostegno su due ha acquisito il titolo di specializzazione in Spagna o in Romania. I numeri risultano piuttosto allarmanti in quanto è noto a molti, ormai da decenni, che sebbene il manifesto di alcune università straniere riporti una quantità di crediti analoga – e quindi potenzialmente equipollente – rispetto a quella delle università italiane, è altrettanto vero che i percorsi di formazione abilitanti sono nella realtà totalmente differenti e spesso fittizi. 
Le principali incongruenze riguardano nello specifico le modalità di accesso, la durata, i contenuti, il tirocinio formativo e la spendibilità del titolo. In Italia per accedere al Corso di Specializzazione sul Sostegno Didattico, i docenti sono tenuti a possedere una laurea magistrale, unitamente ai 24 CFU, e ad affrontare un concorso altamente selettivo costituito da una preselettiva, una prova scritta e una orale mentre in Romania, l’accesso ai master abilitanti è libero e probabilmente questo rappresenta uno dei principali punti che attrae i furbetti della formazione a ripiegare sulla via più facile da seguire. 
In secondo luogo, il percorso specializzante in Italia ha la durata di un anno e prevede la frequenza obbligatoria – senza possibilità di assentarsi neppure in minima percentuale (pena l’esclusione) – a 288 ore di insegnamenti teorici, 180 di laboratori, 225 di tirocinio (diretto e indiretto) e 75 di attività pratica sull’utilizzo delle nuove tecnologie (TIC), applicate alla didattica speciale. A ciò si aggiungono ventitré esami, un elaborato e una prova finale in uscita che attestino le competenze acquisite. 
In Romania sono sufficienti invece solo quattro settimane di presenza e non è prevista alcuna esperienza sul campo. Infine per quanto concerne la spendibilità, il titolo romeno promette una plurivalenza su più gradi e classi di concorso. Per cui un soggetto, laureato in giurisprudenza, che ha conseguito un master in Romania, risulterà abilitato non solo sul sostegno (primo e secondo grado) ma anche su materia (su tutte le proprie classi di concorso). Ciò appare alquanto inverosimile e lacunoso sotto il profilo della validità formativa visto che in Italia, lo stesso titolo, oltre a non essere abilitante è una specializzazione valida esclusivamente per il grado conseguito. 
Va evidenziato altresì che il sistema scolastico romeno e quello italiano adottano risposte diametralmente opposte in riferimento alla scolarizzazione degli alunni con bisogni educativi speciali. Il primo è infatti un sistema bidirezionale (o duale dissociato) in cui gli alunni con disabilità sono inseriti in classi speciali e separati dagli studenti “normodotati”. Il secondo, quello italiano, è invece un sistema unidirezionale e inclusivo che prospetta, tra i suoi principi fondanti, l’attenzione alle molteplici diversità degli studenti e la promozione di una educazione di qualità per tutti all’interno delle classi comuni. 
Alla luce di una mancata corrispondenza tra i due ordinamenti scolastici, quali strumenti innovativi e metodologie didattiche inclusive può aver acquisito un laureato senza esperienza in Romania, trattandosi di un paese non rivolto all’integrazione e all’inclusione della speciale normalità? A tutela della scuola italiana, degli insegnanti e degli alunni chiediamo quindi che si proceda a effettuare le dovute indagini circa la veridicità dei percorsi di specializzazione all’estero e che venga fatta luce sul giro di affari che si nasconde, ancora oggi, dietro i suddetti titoli. Titoli che peraltro non sono considerati sufficienti per l’esercizio di insegnante in Romania e, di conseguenza, riteniamo non possano essere fatti valere, a tal fine, nemmeno in territorio italiano.

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