Pensioni donne
Pensioni donne: le penalizzazioni sugli assegni

I dati dei primi nove mesi del 2020 sulle pensioni donne hanno rivelato che, ad oggi, le lavoratrici risultano ancora fortemente penalizzate rispetto agli uomini. Ecco perché.

Il gap di genere in Italia

Ancora nel 2020 le differenze di genere penalizzano moltissime donne rispetto agli uomini non solo nel mondo del lavoro, ma anche in termini pensionistici.

Stando ai dati dei primi nove mesi dell’anno, infatti, il tasso di femminilità degli assegni di vecchiaia risulta salito a 109.

Ciò significa che ad ogni 100 pensioni erogate agli uomini corrispondono 109 pagate alle donne

Un dato preoccupante, soprattutto se letto all’interno di un contesto lavorativo reso ancora più difficile a causa dell’attività di cura e delle complicazioni occupazionali che le donne si trovano a vivere quotidianamente.

Di fatto in Italia, il tasso di occupazione femminile tra i 15 e i 64 anni è tra i più bassi d’Europa. Il 48,4% contro il 66,6% degli uomini.

Penalizzazioni per le pensioni donne

Questo gap di genere, come anticipato, arriva a colpire le donne anche dal punto di vista delle pensioni, soprattutto quando si avvicinano al raggiungimento del traguardo tanto atteso.

Prima dell’introduzione della legge Fornero, la soglia minima per accedere alla pensione di vecchiaia teneva conto delle differenze di genere, legate alle molteplici attività svolte dalle donne. Pertanto, risultava più bassa di quella necessaria per i lavoratori uomini.

Dal 2011, invece, c’è stato un progressivo allineamento dei requisiti di pensionamento tra uomini e donne.

Attualmente, infatti, per le lavoratrici è molto difficile raggiungere anche soltanto i 41 anni e 10 mesi di contribuzione richiesta per la pensione anticipata. Questo proprio a causa del ruolo di cura che sono chiamate a ricoprire in famiglia.

Anche Quota 100 conferma, del resto, la disparità tra uomo e donna che si evidenzia, inoltre, sul piano degli assegni, in media più bassi del 25% rispetto a quelli dei colleghi maschi. 

Stesso discorso per Opzione donna, in quanto se da un lato tale misura permette di uscire dal mondo del lavoro con 58/59 anni di età e 35 di contributi, dall’altro implica significative penalizzazioni sull’assegno.