Stabilizzazione precari: 'tempo scaduto, l'Italia è vicina alla condanna'
Stabilizzazione precari: 'tempo scaduto, l'Italia è vicina alla condanna'

L’Italia è vicina ad essere condannata dall’Unione Europea per la mancata stabilizzazione dei precari. Il tempo è scaduto. Lo scrive Anief, in un comunicato stampa. Per l’UE, e non solo, i nostri precari sono discriminati e si continua a violare la Direttiva 1999/70/CE sull’utilizzo abusivo della successione di contratti a tempo determinato.

Stabilizzazione dei precari e violazioni

L’Italia sa benissimo cosa rischia ignorando le regole sulla stabilizzazione dei precari. L’ultima lettera di costituzione in mora della Commissione Europea, ha esortato a prevenire l’abuso di contratti a termine, quindi ad evitare condizioni di lavoro discriminatorie.

La lettera del dicembre 2020 è preludio del parere motivato dell’Unione Europea. Il passo successivo è il ricorso per inadempimento davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee contro lo Stato italiano, sottolinea Anief. All’Italia erano stati dati 2 mesi di tempo per per spiegare quali misure concrete intendeva adottare per risolvere il problema.

Marcello Pacifico commenta: “L’Italia non può più rimanere sorda dinanzi all’ennesimo monito della Commissione europea. I contratti a termine sono una pratica ingiusta, desueta e non più praticabile in uno Stato moderno che intende tutelare i diritti dei suoi cittadini”.

Cosa rischia l’Italia?

I due mesi di tempo dati all’Italia per trovare una soluzione alla stabilizzazione dei precari sono scaduti. La Commissione UE ha verificato che ai precari della scuola e dalla sanità continuano ad essere riservate condizioni lavorative meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato. Cosa rischia il nostro Paese?

Se la Corte di Giustizia riconosce che uno Stato è venuto meno ad uno degli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto UE, a tale Stato è fatto divieto di applicare le disposizioni dichiarate in contrasto con il Trattato. Se del caso, esso dovrà adottare tutti i provvedimenti necessari per adempiere ai propri obblighi derivanti dal diritto UE (art. 260.1 TFUE).

In caso di ulteriore inadempimento, lo Stato può essere condannato a pagare multe salatissime, che saranno a carico dei contribuenti.

Quale soluzione?

Marcello Pacifico commenta: “Una posizione netta, in questo senso, l’ha presa di recente il Comitato europeo per i diritti sociali di Strasburgo, che ha accolto il ricorso Anief n. 146/2017 sull’illegittimità della reiterazione dei contratti a termine nella scuola, bocciando così in pieno la volontà italica di continuare a tenere chiuse le GaE, di non utilizzare le Gps per le immissioni in ruolo, come pure di non volere organizzare concorsi riservati per titoli e servizi.

La riforma dei concorsi statali, promossa in questi giorni dalla Funzione Pubblica, contenuta nell’articolo 10 del Decreto Legge del 1° aprile, n. 44, appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, può essere l’occasione per trovare una soluzione immediata al problema. In caso contrario per l’Italia, dove le supplenze hanno toccato quote mai viste, sopra i 200 mila contratti annui, sarà inevitabile incorrere in una multa molto salata”.