I nativi digitali non hanno consapevolezza dei rischi nel trattamento dei dati. La conferma proviene da un fatto di cronaca. In presenza di ragazzi minori di 14 anni, come far entrare in gioco i genitori.
I nativi digitali e il trattamento disinvolto dei dati
I nativi digitali, definizione fuorviante e inappropriata data ai nostri ragazzi. Spesso infatti non racconta la realtà, in quanto l’espressione è percepita come una certificazione di una competenza che non esiste nella vita concreta. La definizione è di M. Prensky (2001) che ha come unico riferimento il contesto temporale.
Se teniamo fuori la dimensione temporale, la realtà ci restituisce ragazzi inconsapevoli dei rischi che corrono nel trattamento errato dei dati e delle informazioni.
L’ultimo esempio di questa disinvoltura pagata duramente dai ragazzi. Si legge su L’Adige.it: “Hanno scattato foto di nascosto a insegnanti e compagni, durante la dad o in classe, pubblicandole poi sui gruppi social modificate con “scopi denigratori e accompagnate da parolacce, insulti, allusioni sessuali”. Con quest’accusa la dirigente di una scuola media di Caraglio (Cuneo), Raffaella Curetti, ha sospeso 12 classi e circa 300 alunni, obbligandoli però a frequentare le lezioni.”
L’informazione l’oro nero del XXI° secolo, le regole e le conseguenze
L’affermazione del Web 2.0, caratterizzato dalla condivisione del materiale, pone diversi problemi. Il Web è divenuto un grande mercato dove l’informazione e i dati hanno il ruolo di primi attori. Da qui non è azzardato affermare che l’informazione in generale è l’oro nero del XXI° secolo. Senza volerlo, infatti ogni giorno disseminiamo il Web di tante briciole di pane costituite dai nostri dati. In molti casi diamo il consenso, in altri sono dedotti dai nostri comportamenti, scelte, acquisti… Questi ultimi interessano i giganti del Web (Google, Facebook…), che una volta divenuti modelli, grazie a sofisticati algoritmi, sono venduti a terzi a scopi prevalentemente commerciale (Capitalismo di sorveglianza, Shoshana Zuboff).
Lo smartphone un giochino pericoloso
Ovviamente tutto questo sfugge ai ragazzi, soprattutto quando ci riferiamo a quelli della scuola primaria e della secondaria di primo grado. A questa età, soprattutto lo smartphone che risponde al bisogno narcisista del ragazzo, è percepito come un giochino, che apre a una serie di operazioni leggere e disimpegnate. Esse sono favorite anche dall’illusione di non essere rintracciabili nel Web, confermando anche in questo caso l’assenza di alcune conoscenze tecniche sull’Ip pubblico.
Questa è la percezione giovanile del Web. Una realtà molto più complessa che non giustifica il possesso di uno smartphone a 9-10…13 anni.
L’online è una grande piazza affollata di dati
L’online, come scrivevo sopra è disseminato di dati, afferenti l’individuo e quindi definiti come personali. Tra questi sono presenti dati personali sensibili (sanitari, orientamento sessuale, politico…), sui quali inciampano i ragazzi, adottando trattamenti inadeguati e fuori norma. Non potrebbe essere diversamente, considerata l’età e la maturità dei ragazzi.
Ovviamente questa mole di dati ha richiesto una normazione che si è concretizzata con il GDPR ( Regolamento europeo per la protezione dei dati personali), recepito dal Decreto attuativo 101/18 (Nuovo codice privacy).
Da qui si comprende quale valore hanno assunto i dati personali per un’identità, sempre più intermediata da uno schermo. Ne discende la reputazione online, elemento costituente il profilo che può durare nel tempo e assumere il carattere di immortalità. Ecco spiegati i motivi che richiedono un trattamento, supportato preventivamente da un’informativa e da un consenso del soggetto coinvolto (14 anni per il nuovo codice della privacy).
La responsabilità genitoriale rimane centrale
Tornando al fatto di cronaca dei ragazzi sospesi, mi trova d’accordo la decisione sulla sanzione inflitta con il fine di favorire, come ha scritto la Dirigente Scolastica, una riflessione sui “risvolti legali legati alla vicenda“. Il provvedimento. però non può scrivere la parola fine alla vicenda. Tutti conosciamo gli effetti devastanti della condivisione in Rete, che fa perdere il controllo del materiale postato.
Quindi, se i ragazzi hanno meno di 14 anni (non imputabili) occorre costringere i genitori, titolari del contratto con il provider, a firmare una dichiarazione di avvenuta rimozione (supportati ovviamente dai ragazzi) del materiale dai profili social o dalle chat pubbliche o private… frequentate dai figli.
In caso di ragazzi ultraquattordicenni saranno i ragazzi a sottoscrivere la dichiarazione. Ovviamente questa attività non garantisce la completa rimozione dal Web. Soprattutto nel primo caso però, è sicuramente un segnale forte verso gli adulti che hanno la principale responsabilità di educare i figli (art. 30 Costituzione).