Lettera: ‘Insegnanti sostegno, l’ultima ruota di un carro che non taglierà mai il traguardo’

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Riceviamo e pubblichiamo una lettera inviataci da una gentilissima nostra lettrice.

‘Insegnanti di sostegno: l’ultima ruota di un carro che non taglierà mai il traguardo’

Cari docenti di ruolo e non di ruolo che difficile compito il nostro: EDUCARE. Eh già educare Signori Professori, ce lo saremo mica dimenticato? Diciamocelo pure, praticamente si parte sconfitti EDUCARE, CURARE e GOVERNARE sono i tre mestieri definiti impossibili, ma suvvia almeno provarci partendo dalle basi della civiltà mi pare il minimo no?

Ebbene, ho chiuso quest’anno con grandissima fatica e se non fosse stato per gli alunni che sono lo splendore, e che rendono questo, il lavoro più bello del mondo, probabilmente avrei pensato di fare altro nella vita. Certo quest’anno ha messo a dura prova anche le personalità meno inclini ai turbamenti e, nella scuola, le innumerevoli variazioni in corso d’opera, hanno fatto sì che non vi fosse il tempo per abituarsi ad una novità nella gestione della didattica, che la strategia doveva per forza di cose cambiare. Eppure quanti sono stati i ma di quest’anno.

Una prima sconvolgente realtà è data dall’atteggiamento che la scuola italiana e la società riserva ai docenti di sostegno, e tanto la scuola quanto la società non sono entità astratte bensì gruppi, più o meno istruiti, di persone; già i manuali di studio mi avevano preparata al fatto che i docenti di sostegno lamentassero il fatto di sentirsi insegnanti di serie B ebbene vi dico, per mia esperienza, che NO NON È COSÌ! 
Il personale di sostegno non è la serie B dei docenti, è l’ultima ruota di un carro che non taglierà mai il traguardo, percepiti da tutti come ragazzini sprovveduti da collocare un paio di gradini sotto al personale ATA e tutto ciò a buona ragione se si effettua un’analisi più che superficiale della questione: nella mia scuola ero io a dare del lei ai collaboratori scolastici e a ricevere del tu, ed ero io a portare il mio alunno in bagno e sempre io a pulirlo e a cambiarlo. 

Credendo e volendo a tutti i costi praticare l’inclusione didattica, permettevo al mio studente di passare il cento per cento delle ore curricolari in classe ma per ciò fare avrei avuto anche io bisogno di una banco che ovviamente non mi è stato mai fornito “eh sai le vie di fuga, se vuoi puoi uscire…in corridoio c’è una cattedra” e così al momento di scrivere mi sono ridotta a farlo sulle mie ginocchia per tre anni e con conseguenti fastidi non indifferenti alla schiena; avendo il ragazzo da me seguito un ritardo mentale ogni pomeriggio ero fiera, orgogliosa e motivata a predisporre materiale opportunamente calibrato per incuriosire e cavalcare gli interessi del mio studente, ma molte volte durante le ore di lezione si sa si esce dal seminato, ci si apre a scenari nuovi e per un ragazzo che ha bisogno di input diversi per ricevere, rielaborare e metabolizzare le informazioni ecco che si rendeva necessario predisporre sul momento del materiale apposito (mappe, schemi, sintesi per immagini, riassunti). 

Ma perché non uscire dall’aula? Semplicemente perché sarebbe stata una mia necessità fisica non del mio studente che, a pieno titolo e ragione, ha il sacro e santissimo diritto di stare in classe con i suoi compagni, se lo vuole. Io devo e voglio garantire il suo diritto all’inclusione e non voglio prestarmi ad avvallarne la segregazione in corridoio e questo a tutela anche dei suoi compagni che hanno imparato tantissimo in questi anni dal punto di vista emotivo, sociale e relazionale e che si sono sempre rivolti a me sapendo che avrebbero potuto trovare un docente attento alle necessità di tutti e in particolar modo dei più fragili. 

Come giustamente ricordano i Dirigenti, mio compreso, IL DOCENTE DI SOSTEGNO È ASSEGNATO ALLA CLASSE e contitolare della cattedra! Ed ecco la seconda sconvolgente realtà mi è stato detto di rimanere nel mio ruolo poiché ognuno deve fare il suo in base ad un ruolo prestabilito e alla richiesta del perché di una tale affermazione non ho avuto risposta se non da altri colleghi che hanno riferito di probabili fastidi dati da mia premura verso un’alunna in crisi di panico e pianto, sfido chiunque a non chiedere come stai ad un alunno in difficoltà (evidentemente ciò che credevo essere patrimonio comune di semplice umanità non è tale)…ecco quello che voglio qui dire apertamente è semplicemente GRAZIE, GRAZIE a chi ha affrontato e condiviso in questo strano e faticoso anno perché la scuola è CONDIVISIONE, è scambio di idee tra ragazzi e ragazzi, tra ragazzi e docenti ma anche tra docenti e docenti! Non si può fare questo lavoro pensando di trincerarsi in un ruolo! 

GRAZIE a chi ha pianto e riso, ai colleghi meravigliosi che con parole e gesti inaspettati donano amore puro (anche queste persone esistono!), GRAZIE alle famiglie e alla mia in particolare che per la scuola è stata enormemente trascurata e a volte ridotta ad un secchio raccogli lacrime, voi siete il sostegno più grande, GRAZIE agli studenti che sono un uragano di forza anche se ancora non l’hanno compreso, ma soprattutto grazie a voi che non avete nemmeno il tempo di salutare un insegnante di sostegno, grazie a voi che sottolineate ogni giorno che non siamo sullo stesso piano perché mi avete insegnato la cosa più importante: ciò che non voglio diventare nella vita, come voi. 

Noi insegnanti di sostegno il più delle volte siamo già il punching ball dei nostri ragazzi, quindi riflettete, se le vostre lezioni funzionano, sicuramente è perché siete in gamba, ma insieme a voi c’è qualcuno che, nell’ombra, sta facendo un lavoro non indifferente con un ragazzo con disabilità che altrimenti le vostre belle lezioni le farebbe saltare per aria e non dimenticate che anche noi stiamo insegnando proprio come voi alla classe; con le nostre attenzioni, premure e cure, con il ruolo di mediatori stiamo mostrando come relazionarsi con chi ha una disabilità, stiamo insegnando l’importanza di conoscere passando per la sensibilizzazione, attraverso l’esempio, aprendoci al sensoriale, alla cinematografia ed iniziative sociali quali le giornate di sensibilizzazione, stiamo mostrando che ogni ragazzo ha un inestimabile valore. 

I semi diventano fiori se sono coltivati con cura e quest’anno un’alunna della classe ha deciso di portare all’esame proprio l’inclusione, direi che questi sono i fiori che spero si possano diffondere in modo pandemico…certo è che dovremmo predisporre insieme un terreno fertile se vogliamo raccoglierne i frutti, ammesso che questi frutti si vogliano e si sappiano vedere e raccogliere!

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