Suddivisione alunni nelle classi, prevale il rischio ragionato

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Suddivisione alunni nelle classi in assenza del titolare. La procedura rimanda a un conflitto tra diritti costituzionali. La difficoltà diventa un problema per le singole istituzioni. Da parte sua il governo ha risolto con il distanziamento non più obbligatorio.

Il problema delle scuole sono le classi costituite da persone

Suddivisione alunni nelle classi in assenza del titolare. Era già un problema in periodo pre-Covid, per gli ovvi problemi di sicurezza. Questa è normata dal D.M. 18.12.75 che prevede per aule l’altezza minima di 3 metri, il rapporto alunno/ superficie a 1.80 mq/alunno nelle scuole dell’infanzia, primaria, medie e 1,96 mq/ studente nelle scuole superiori, al netto degli arredi quali cattedra e armadi…
Difficile conciliare questi parametri con le indicazioni imposte alle scuole con il D.P.R.81/09 che prevedono 26-27 alunni per classe, escludendo le deroghe.


Dallo scenario generale caratterizzato da una palese contraddizione normativa a quello specifico che norma le supplenze brevi. L’unico riferimento normativo implicito, ma propedeutico alla pratica della suddivisione è la legge di stabilità 190/2014 art. 1 comma 333: “Ferme restando la tutela e la garanzia dell’offerta formativa, a decorrere dal 1º settembre 2015, i dirigenti scolastici non possono conferire supplenze brevi di cui al primo periodo del comma 78 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, al personale docente per il primo giorno di assenza.

La palese inconciliabilità di diritti

La suddivisione degli alunni/studenti in assenza del titolare, come scrivevo sopra, è una pratica non menzionata esplicitamente. Purtroppo è diventata necessaria, una sorta di ultima spiaggia per garantire agli alunni/studenti minori il diritto alla tutela fisica della propria persona. L’accorpamento, infatti, si concretizza quando non è possibile reperire personale interno o applicare alternative valide e sicure ai fini della vigilanza.


La tutela fisica e psichica del minore è un principio cardine della Convenzione dei diritti dei bambini (art. 3 comma 2) e della Costituzione italiana (art. 2). Da qui si deduce il carattere deciso dell’art. 2043 c.c. dal quale discende la culpa in vigilando.
Evidente il conflitto tra diritti di rango istituzionale. Da una parte l’impegno a tutelare la sicurezza degli alunni/studenti (D.M. 18.12.75), dall’altra l’obbligo di non abbandonare il minore in caso di assenza del minore.

Non esiste una soluzione praticabile

A questo punto resta l’interrogativo: si può evitare la pratica della suddivisione degli alunni? La risposta è negativa. A nulla servono le dichiarazioni di illegittimità del provvedimento, che riducono la sicurezza e compromettono la didattica e quindi il diritto allo studio. Questo non significa che il rilievo non sia fondato. Lo è, purtroppo però non si propongono valide alternative.


Nell’attuale momento la pratica stride fortemente con le regole sanitarie, imposte dalla pandemia. Lo diventa maggiormente in quelle situazioni dove occorre decidere in presenza di classi pollaio che in moltissimi casi contravvengono al distanziamento del D.M. 18.12.75.


La decisione di declassare il distanziamento a raccomandabile (cts 12 luglio 2021 e nota di accompagnamento del Mi 22 luglio 2021) ) favorisce la pratica dell’accorpamento. Dove il distanziamento (buccale o tra i banchi?) non è possibile rispettarlo, si rimanda all’uso della mascherina sempre. In altri termini, è tornato il rischio ragionato.
Concludendo, il cerino acceso resta in mano alle scuole che quasi sempre senza il sostegno dei genitori, devono decidere rischiando molto.

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