Lavagna
Lavagna

Si avvicina sempre di più la scadenza di Quota 102, ma governo e sindacati, nel frattempo, non sembrano ancora aver trovato un punto di incontro per la prossima riforma delle pensioni; in particolare, che cosa potrebbe cambiare per l’Ape sociale e Opzione donna dal 2023?

La scadenza di Quota 102

Man mano che si avvicina la scadenza di Quota 102 prevista per la fine di quest’anno, appare sempre più di primaria importanza trovare una soluzione per il futuro del sistema pensionistico italiano. Nonostante, infatti, gli eventi internazionali abbiano significativamente rallentato il confronto, governo e sindacati sono ancora al lavoro per raggiungere un punto di incontro.

Stando a quanto emerso fino ad ora sembrerebbe, però, non esserci alcuna intenzione di modificare l’assetto generale della Legge Fornero. Ciò significa, quindi, che nel 2023 la soglia di vecchiaia rimarrà molto probabilmente fissata a 67 anni. Con la possibilità di accedere alla pensione anticipata ordinaria con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne).

In più, si sarebbe tuttavia ipotizzata la possibilità di lasciare il lavoro a 64 anni di età e 20 di contributi versati, in cambio del calcolo dell’assegno interamente con il sistema contributivo. In alternativa, ci sarebbe ancora in gioco l’opzione della pensione divisa in due quote. Ma che cosa potrebbe accadere, invece, all’Ape sociale e ad Opzione donna?

Ape sociale e Opzione donna: cosa potrebbe accadere nel 2023

In questo scenario, non possiamo non domandarci che cosa potrebbe accadere a partire dal prossimo anno alle altre due misure pensionistiche attualmente in vigore. L’Ape sociale ed Opzione donna. Secondo alcuni esperti del Ministero del Lavoro, ci sarebbe anche la possibilità che Opzione donna confluisca direttamente all’interno dell’Ape sociale.

Così facendo, le lavoratrici non andrebbero più in pensione con 35 anni di contributi e 58 anni di età (59 le autonome), ma dovrebbero aspettare il raggiungimento di 30 anni di contributi e 63 di età. Pertanto, al di là dell’innalzamento del requisito anagrafico, ciò potrebbe comportare una significativa riduzione delle penalizzazioni a carico delle donne.