La restituzione dei periodi di precariato nella ricostruzione carriera spetta anche al Personale ATA. A sentenziare così è stato il giudice del lavoro del tribunale di Pistoia, che ha concesso il risarcimento ad un assistente amministrativo per il mancato riconoscimento legato al periodo in cui lavorava come supplente. L’ATA ha presentato ricorso attraverso i legali di Anief.
Personale ATA e ricostruzione carriera: il caso
L’assistente amministrativo aveva lavorato per circa otto anni e mezzo come supplente, prima di essere assunto a tempo indeterminato. Nella ricostruzione carriera, si è visto riconoscere dal Ministero solo parzialmente il periodo di precariato. Presentando ricorso, l’ATA ha chiesto “l’integrale ed immediata valutazione del servizio preruolo ai fini della ricostruzione della carriera e, dunque, ai fini della collocazione nei corrispondenti scaglioni stipendiali”.
Il giudice ha accolto la richiesta e ha disposto 2.200 euro di indennizzo più interessi, oltre alla collocazione nella fascia stipendiale superiore più vantaggiosa, che comporta uno stipendio più alto. E non è la prima volta che succede.
Cosa dice la legge
Il giudice di Pistoia ha ricordato il principio di diritto della Suprema Corte con la sentenza n. 31150/2019: “L’art. 569 del D. Lgs. n. 297/1994 relativo al riconoscimento dei servizi preruolo del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva 1999/70/CE (…). Il giudice, una volta accertata la violazione della richiamata clausola 4, è tenuto a disapplicare la norma di diritto interno in contrasto con la direttiva ed a riconoscere ad ogni effetto al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell’amministrazione, l’intero servizio effettivo prestato”.
E scrive ancora: “applicando il criterio del calcolo effettivo, va riconosciuta un’anzianità di servizio preruolo, sia ai fini giuridici sia ai fini economici… In considerazione dell’anzianità di servizio maturata, l’attuale ricorrente ha diritto a percepire gli importi così come quantificati nel ricorso (€ 2.158,62)” e si condanna “la parte convenuta al pagamento delle differenze retributive così come quantificate nel ricorso, oltre interessi”.