Tra le misure a quote e la pensione divisa in due parti, nell’ambito del dibattito pensionistico si affaccia anche la nuova ipotesi dell’Ape sociale strutturale. Ma come funzionerebbe nel concreto tale meccanismo? Che fine farebbero tutte le altre opzioni?
Nuova ipotesi Ape sociale strutturale
In occasione di un recente workshop svoltosi poche settimane fa presso il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) è emersa una nuova ipotesi sul fronte pensionistico. Oltre alla proposta del presidente Inps Pasquale Tridico della pensione divisa in due tempi, si è fatta strada anche l’idea dell’Ape sociale strutturale. Una misura che prenderebbe le mosse dall’attuale Ape sociale. Intesa come trattamento previdenziale di accompagnamento alla pensione che permette ad oggi l’uscita dal mondo del lavoro a 63 anni di età.
Ma cerchiamo ora di capire meglio come funzionerebbe tale ipotesi e che fine farebbero tutte le altre proposte prese in considerazione finora.
Come funzionerebbe
Come abbiamo anticipato, l’Ape sociale strutturale riprenderebbe di fatto il meccanismo dell’attuale Ape sociale, diventando però a tutti gli effetti una pensione contributiva di garanzia a carico dello Stato italiano. In questo modo, sarebbe possibile agevolare la flessibilità in uscita soprattutto per i lavoratori più svantaggiati. Una sorta di misura ponte che andrebbe, quindi, ad appianare le disparità fra le varie categorie professionali.
Bisogna, infatti, considerare che già durante la sperimentazione della misura nel triennio 2019-2021 ci sono stati significativi risultati da questo punto di vista. Inoltre, anche il rinnovo con un ulteriore ampliamento della platea dei beneficiari avvenuto nel 2022 ha dato notevoli frutti. Ecco perché per il futuro pensionistico si è ipotizzato di estendere l’Ape sociale anche ad altri lavoratori, tra cui gli autonomi, e di rendere per esempio meno stringenti i requisiti di accesso per i lavoratori a tempo determinato.