Dopo il malcontento generale sorto a seguito della revisione dei requisiti per accedere ad Opzione donna, il Governo si rimette al lavoro per definire il futuro della misura pensionistica riservata alle lavoratrici. Che cosa potrebbe cambiare il prossimo anno?
Governo al lavoro su Opzione Donna
Opzione donna così come è stata formulata all’interno della Legge di bilancio 2023 ha sensibilmente ridotto la platea dei beneficiari. Per questo motivo, fin dalla sua entrata in vigore le lavoratrici e i sindacati ne hanno chiesto la revisione. Ad oggi, infatti, la misura è rivolta a chi ha maturato 35 anni di contributi e 60 anni di età, requisito che scende a 59 e a 58 anni nel caso delle lavoratrici con uno o due figli. Inoltre, a rendere ancora più stringente la misura ha influito il fatto di dover appartenere ad una delle seguenti categorie: caregiver, invalide almeno al 74% e licenziate o dipendenti di aziende in stato di crisi.
Il Governo starebbe, quindi, lavorando per il 2024 ad un ipotetico abbassamento della soglia anagrafica, che potrebbe essere portata a 59 anni per tutte le lavoratrici, andando così ad eliminare anche il requisito dei figli. Tuttavia, non si esclude che nei prossimi mesi possa essere emanato un decreto ad hoc per ripristinare le condizioni precedenti per un periodo di tempo limitato.
Le parole del ministro Calderone
In occasione della cerimonia al Quirinale per la Giornata internazionale della donna, il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Calderone ha fatto sapere che il Governo si è rimesso al lavoro per migliorare Opzione donna. “Il ministero ha fatto più proiezioni” ha spiegato. “Le ha già mandate anche al Mef in modo che sia possibile determinare i costi delle eventuali modifiche. Sono in attesa, spero di avere risposte a breve, per fare in modo che alcune parti della norma inserita in manovra possano essere risistemate”.
A tal proposito, la Calderone ha confermato la volontà di unificare il requisito anagrafico per tutte le lavoratrici, sia autonome che dipendenti, e di eliminare lo sconto in base al numero di figli. Lo scoglio, però, restano ancora i fondi. Questa revisione, infatti, costerebbe alle casse dello Stato circa 90 milioni il primo anno e 240 e 300 milioni nel secondo e nel terzo anno. Sarà compito dei Ministeri del Lavoro e dell’Economia valutare la fattibilità di queste ipotesi.