La crisi della natalità che ha colpito il nostro Paese non può che riversarsi sulla scuola. E così i dati parlano di 5.599 classi in meno nel giro di 5 anni, con alcuni istituti che rimangono senza classi prime alla scuola primaria per mancanza di alunni. L’allarme è stato lanciato da L’Avvenire, in cui è intervenuta Cristina Grieco, presidente Indire.
Riduzione del numero di scolari in tutta Italia
Da nord a sud in Italia si denota un vero e proprio ‘gap’ della natalità, e a farne le spese non possono che essere le scuole che si ritrovano senza scolari. Alcune zone hanno una situazione più allarmante rispetto ad altre. Tra queste possiamo annoverare la provincia di Treviso, in cui il prossimo anno scolastico, undici scuole elementari non avranno la prima per mancanza di alunni. Come leggiamo infatti anche chiedendo “in prestito” bambini alle altre scuole, non sarebbero arrivate alla soglia minima di 15 scolari, necessari per formare una classe. A Chiavari poi, in provincia di Genova, gli alunni della scuola primaria sono calati del 10,5% tra il 2017 e il 2022.
Il fenomeno è però esteso su tutta la Penisola. Con riferimento alla prima classe della scuola primaria si è assistito ad un passaggio da 428.055 iscritti del 2022/2023 ai 422.475 del 2023/2024, con una perdita quindi di 5.580 alunni in un solo anno. E scorrendo i dati ufficiali del Ministero dell’Istruzione e del Merito possiamo notare come siamo partiti nel 2018/2019 con 2.498.521 alunni e 129.354 classi per arrivare nel 2022/2023 a 2.260.929 alunni e 123.755 classi.
Grieco: “Rimodulare la scuola secondo i criteri della didattica innovativa”
Lo stesso ministro Giuseppe Valditara ha lanciato l’allarme: tra 10 anni, entro il 2033, in Italia avremo 1 milione di alunni in meno. Ma secondo Cristina Grieco, presidente Indire, questa situazione preoccupante non necessariamente andrebbe vista come qualcosa dal risvolto negativo. “Può essere l’occasione per pensare a un nuovo modello di scuola, impiegando in maniera diversa i docenti e utilizzando meglio spazi e strutture”, ha dichiarato.
“(…) Cambiare modello significa anche pensare che la scuola non debba necessariamente essere “fatta” soltanto la mattina, per dedicare il pomeriggio allo studio solitario, ma che, invece, possa essere rimodulata secondo i criteri della didattica innovativa, più in sintonia con le aspettative degli studenti, che, in questo modo, sarebbero maggiormente motivati.
Adesso la sfida è passare dalle “avanguardie educative” all’innovazione diffusa sul territorio. Avendo una grande attenzione alle aree interne, alle isole, alle zone di montagna, dove la scuola è un presidio sociale fondamentale per la comunità. Attraverso la tecnologia e alleanze virtuose tra Comuni, è possibile mantenere in vita il servizio, nonostante lo spopolamento e il calo delle nascite.”