regionalizzazione scuola Veneto
regionalizzazione scuola Veneto

Ancora una volta torna al centro del dibattito la questione dei voti e del merito. A riportare l’attenzione su queste tematiche è stato uno studente neodiplomato che, in una lettera pubblicata le scorse ore sul Corriere della Sera, ha voluto tirare le somme del suo percorso scolastico, denunciando un sistema scolastico non concentrato sull’esperienza e sulla costruzione personale ma solo sul risultato finale.

Sensazione di vuoto a chiusura del percorso scolastico

Lo sfogo proviene da un neodiplomato di un liceo classico di Milano. A poche settimane dalla maturità sono tanti gli interrogativi di questo ragazzo: “Ne è valsa la pena?“, “È così che immaginavo mi sarei sentito?“, “Mi sento ripagato di questi anni?“. In risposta, dentro di sè, è arrivato solo un gran vuoto, di cui lo stesso ritiene responsabile proprio il modello scolastico italiano, “dilaniato dalla retorica del merito”, in cui performance ed eccellenza sono rimasti fuori.

La lettera prosegue con parole sempre piè dure e cariche di delusione: “ciò che conta è il risultato, non il percorso; quello che sei è il voto, non la tua crescita e le tue esperienze, l’importante è andare avanti a denti stretti e non fermarsi mai, almeno fino a quando non raggiungi il burnout: le relazioni sociali, gli hobby, le proprie passioni vengono tutte dopo.”

Attacchi di panico e ansia

Il neodiplomato ha voluto raccontare anche retroscena che non sempre vengono messi alla ribalta, o vengono attribuiti ad una generazione ‘malata’ che non è più in grado di affrontare le difficoltà.

Ci siamo trovati nei bagni a piangere, a vomitare per l’ansia, a mordere un pezzo di stoffa per non fare rumore mentre avevamo gli attacchi di panico; ci siamo trovati alle tre di notte ad assumere bevande energetiche per non addormentarci, per continuare a studiare, a fare di meglio, a essere migliori degli altri; ci siamo trovati la mattina a rubare i calmanti dei nostri genitori per trovare il coraggio di andarci… a scuola; ci siamo trovati in lacrime, davanti allo specchio, provando a far finta di sorridere e dire che andasse tutto bene: io e molti altri studenti d’Italia.

E ancora: “scuola, un posto dove vengono considerati solo aspetti come la media scolastica, i voti, i risultati che hai ottenuto o le tue certificazioni; non la persona che si è. (…) E così una generazione intera è stata piegata al nome del risultato, del numero, della prestazione.

Ora, sia chiaro, io non accuso nessuno in particolare, non i corpi docenti delle scuole, né i presidi che si occupano della loro organizzazione, tantomeno l’attuale governo: io accuso un sistema in toto, quello della scuola italiana, che, a dispetto della formazione che mi possa dare o meno, non sta insegnando la cosa più importante che vada insegnata, e cioè che fallire è normale, che sbagliare è normale e che dedicare tempo a se stessi, costruendo la persona che si vuole essere, dovrebbe essere la priorità, non  «il resto che viene dopo».  Quale insegnamento ci sarà utile, se nei cinque anni più formativi della nostra vita non avremo avuto nemmeno il tempo di formare la nostra persona?

Noi abbiamo estrapolato le frasi più salienti che sicuramente invitano a riflettere, e dovrebbero anche portare il Ministero dell’Istruzione a rivedere il modello scolastico, non tanto forse puntando all’eliminazione dei tanto odiati voti, ma cercando di porre al centro dell’attenzione anche la persona, lo studente, e il suo essere, accompagnandolo in quegli anni di cui dovrebbero rimanere solo bei ricordi.