Scuola, fine di un brutto anno scolastico: 'ma il prossimo sarà peggio', ecco perché

Nella maggior parte delle regioni d’Italia, la scuola è giunta al termine delle lezioni. Un anno scolastico si è quasi concluso, e non è stato dei migliori. Che dire del prossimo, 2017/18? Anief è negativo. In un comunicato di ieri 9 giugno titola così: “Lezioni finite, è stato un anno difficile e il prossimo andrà peggio: boom di contenziosi”. Di seguito le sue motivazioni.

Scuola, è stato un anno scolastico difficile

“È giunto al termine l’anno scolastico: tra oggi e domani suonerà nella scuola l’ultima campanella in tutti gli istituti, tranne in quelli del Friuli Venezia Giulia e dell’Alto Adige che concluderanno le lezioni la prossima settimana. Ma anche gli alunni delle classi terminali della scuola secondaria, attese dagli Esami di Stato… A livello organizzativo, è stato un anno difficile: decine di migliaia di docenti, in prevalenza assunti con la Legge 107/2015, sono stati nominati fuori tempo massimo, addirittura a ridosso del Natale scorso; circa 1.400 istituti sono stati affidati a presidi già titolari di altre scuole; un altissimo numero di alunni disabili, quasi 100mila su 240mila, si è visto cambiare almeno una volta il docente di sostegno; un insegnante su sette è rimasto precario e il livello dei contenziosi ha raggiunto quote mai toccate in passato; anche per via del concorso a cattedra che ha escluso illegittimamente tante categorie di aspiranti docenti, molti dei quali ripescati proprio grazie all’operato del sindacato.”

Scuola, ‘il prossimo anno scolastico sarà peggio’

“L’attenzione si sposta già sul prossimo anno scolastico. Quando le cose peggioreranno. Perché da settembre cominceranno a essere attuati i decreti legislativi della Buona Scuola approvati solo da alcune settimane. E continueranno a permanere precariato e supplentite, nonostante gli ulteriori finanziamenti del disegno di legge correttivo alla Legge di Stabilità sugli organici e il piano straordinario di assunzioni del 2015. A poco è servita la recente Circolare ministeriale n. 21315/17 sugli organici del prossimo anno , perché autorizza la conversione di soli 15 mila posti in organico di diritto, peraltro su spezzoni nella superiore, rispetto alle 100 mila supplenza assegnate ogni anno (di cui circa la metà su sostegno) .
A proposito dei docenti specializzati nell’insegnamento agli alunni disabili, dopo mesi e mesi di auspici sulla rilevanza della continuità didattica e sulla volontà del Miur di voltare pagina, sono stati accordati solo 3.600 immissioni in ruolo di sostegno, rispetto ai 41.600 in deroga assegnati ogni anno (destinati a crescere). Fa pensare anche il fatto che le ultime assunzion i per gli ATA risalgono al 2011, anche se la legge prevedeva organici inalterati negli anni successivi…
…“Se abbiamo poi ottenuto dalle Sezioni Unite della C assazione, con la sentenza del 7 novembre 2016, n. 22558 , il semaforo verde al pagamento degli scatti di anzianità per i precari come dei risarcimenti per i contratti superiori a 36 mesi al 31 agosto o al 30 giugno su stesso plesso, questo ha dato una prima risposta ma non ha risolto il problema del precariato – continua il sindacalista Anief-Cisal -. E che dire sul l’incompiuto percorso 0-6 anni che, anche a regime, coinvolgerà una percentuale residua di bambini, pensando anche che il segretario PD appena confermato , Matteo Renzi, ha fatto una delle sue prime uscite pubbliche a Bologna ? La verità è che c’è da piangere. Perché dal decreto delegato 65, pubblicato la scorsa settimana in Gazzetta Ufficiale , sull’Istituzione del sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita a sei anni, risulta che le sezioni Primavera saranno rese attivabili solo se compatibili con ‘le risorse finanziarie destinate allo scopo a legislazione vigente’ . Anche in questo caso, la domanda sorge spontanea: perché servono risorse certificate, se è lo stesso decreto delegato che impone il carattere ordinatorio di tale sezioni? Abbiamo assistito a tanta propaganda e pochi fatti. Avevamo chiesto di anticipare di un anno l’obbligo scolastico rispetto alla chiusura sperimentale di un anno delle superiori, con classi ‘ponte’ con docenti di infanzia e primaria in copresenza , e l’estensione dell’obbligo scolastico a 18 anni. Così si garantirebbe il diritto allo studio ” .
“Dal Governo abbiamo poi sentito tanto ‘rumore’ sul potenziamento, ancora a oggi negato agli alunni della scuola dell’infanzia. E ai mastri, già estromessi dal piano straordinario di assunzioni dell’ultima riforma. Per non parlare dei neo-laureati abilitati in Scienze della Formazione, anche loro esclusi da quel piano di assunzioni. Ma ci sarà qualche notizia buona almeno sull’integrazione? Purtroppo le premesse sono anche in questo caso negative: il decreto legislativo n. 66/2017 costringerà 225 mila famiglie a rifare le certificazioni secondo nuovi criteri dell’Organizzazione mondiale della sanità”. Perché gli studenti già ‘certificati’ dovranno sottoporsi d’estate all’esame delle rinnovate commissioni mediche , le quali dovranno a loro volta produrre una nuova certificazione della disabilità per aver riconosciuto il diritto allo studio sul sostegno. Solo che non possono continuare a essere le ragioni economiche a imporsi sui diritti dell’individuo. Sono trascorsi vent’anni dalla Legge 449 /97 che ha istituito i posti in deroga: è giunta l’ora di stabilizzare tutti i posti negli organici ordinari di diritto.”

Brutte notizie anche per gli studenti

Anche per gli studenti non ci sono buone notizie. Se per il futuro le prove Invalsi vengono eliminate dagli Esami di Stato, rimanendo indispensabili per l’ammissione e diventando elemento costitutivo della scuola dell’autonomia, sulla loro costituzione non si tiene adeguatamente conto del territorio, del tessuto sociale, della situazione della classe. I loro livelli, infatti, non sono ininfluenti sulla valutazione delle scuole e pure dei docenti, nonché sugli apprendimenti degli studenti: “una scuola ai Parioli di Roma – incalza Pacifico – non può avere lo stesso tipo di ‘utenza’ dello Zen di Palermo o di Scampia nel napoletano. Se si va verso una svalutazione del titolo di studio, siamo totalmente contrari: l’università nel Medioevo è stata creata per lo scopo contrario”.
“Per questi motivi – continua – l’Anief continuerà a condurre la sua battaglia legale contro queste riforme: abbiamo vinto sull’utilizzo dei posti in deroga, sul trasferimento dei precari nell’aggiornamento delle graduatorie, sulla parità di trattamento tra personale a tempo determinato e indeterminato, sulla mobilità del personale e tante altre. Continueremo ancora, ancora dopo che diventeremo rappresentativi alle prossime elezioni RSU, a meno che non subentri un po’ di buon senso in chi ci governa”. Potete visualizzare tutti i numeri sui ricorsi di Anief nella pagina del sindacato.