Concorso straordinario, chiarimenti su graduatorie e conseguimento abilitazione

Nuovo concorso straordinario per la scuola secondaria, non mancano i dubbi e le incertezze legate alla procedura concorsuale finalizzata al ruolo nell’anno scolastico 2022/23. Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato la tabella con la distribuzione dei posti (circa 14mila quelli che saranno banditi): in attesa della pubblicazione del bando di concorso (atteso nei prossimi giorni), vediamo di chiarire alcuni aspetti legati alla formazione delle graduatorie di merito e al conseguimento dell’abilitazione.

Concorso straordinario riservato ai docenti precari con più di tre annualità di servizio

Il concorso, come è noto, prevede un’unica prova orale della durata massima di 30 minuti. La valutazione si baserà sul quadro di riferimento per la valutazione della prova orale, valido a livello nazionale per quella determinata classe di concorso. La commissione giudicatrice avrà a disposizione 150 punti (100 per la prova, 50 per la valutazione dei titoli): per il superamento della prova non è richiesto un punteggio minimo, ciò significa, di conseguenza, che non sono previste bocciature.

Chiarimenti sulla formazione delle graduatorie

C’è, però, un aspetto fondamentale da tenere in considerazione, ovvero della formazione delle graduatorie: se è vero che non vi saranno candidati bocciati, è anche vero che la graduatoria sarà formata dagli aspiranti docenti che, in base alla valutazione complessiva come punteggio, si collocheranno entro il numero di posti messi a bando per quella c.d.c. e per una determinata regione.

Quindi, non bisogna trarre delle conclusioni sbagliate, come quella che tutti i docenti che possiedono i requisiti entreranno in graduatoria a prescindere. Da qui nasce l’esigenza di svolgere una buona prova, dal punto di vista del punteggio, in quanto un numero limitato di posti potrebbe impedire a un docente l’accesso al percorso di formazione e al ruolo.

Non si tratterà, pertanto, di graduatorie ‘ad esaurimento’, almeno secondo quanto riporta l’ultima bozza del Ministero dell’Istruzione. Ne deriva che chi riuscirà ad entrare in graduatoria per il numero di posti banditi, potrà accedere al percorso di formazione e al ruolo. I sindacati, per la verità, hanno chiesto al Ministero una graduatoria in modo tale da evitare una dispersione di posti in caso di possibili rinunce da parte dei candidati. 

Visto e considerato che i posti banditi saranno quelli residuati dalle immissioni in ruolo per l’anno scolastico 2021/22, vi saranno regioni in cui non vi saranno posti disponibili per una determinata c.d.c. e pertanto non sarà effettuato alcun concorso. Per poter partecipare al concorso, in una determinata regione, dovrà esserci almeno un posto a disposizione per quella c.d.c. Ne deriva che, chi vorrà partecipare al concorso per quella c.d.c. non disponibile nella propria regione, sarà costretto a sceglierne un’altra, con posti a disposizione per la propria classe di concorso.

Abilitazione

Anche per quanto riguarda l’aspetto legato all’abilitazione, c’è da precisare che questa si potrà ottenere alla fine del percorso di formazione ovvero con l’immissione in ruolo. Partecipare al concorso non significherà pertanto conseguire automaticamente l’abilitazione ma quest’ultima si potrà ottenere unitamente alla cattedra di ruolo.

Ricordiamo, comunque, che tutti questi aspetti dovranno essere confermati con la pubblicazione definitiva del bando di concorso straordinario scuola secondaria, riservato ai docenti con più di tre annualità di servizio, atteso nei prossimi giorni. Ricordiamo, infine, che la procedura non è prevista per la scuola dell’infanzia e primaria, né per i posti di sostegno.

Rientro in servizio dopo il 30 aprile, cosa succede?

Come sappiamo, sono vari i motivi per cui un docente può assentarsi da scuola: malattia, aspettativa, congedo parentale o per studio. Spesso capita che il periodo di assenza si prolunga anche per vari mesi, ricoprendo quasi tutto l’anno scolastico o arrivandone quasi alla fine. Cosa succede quando il rientro in servizio dell’insegnante titolare avviene dopo il 30 aprile? Di seguito cerchiamo di dare chiarimenti utili in merito.

La normativa che regola il rientro in servizio dopo il 30/04

Ogni anno, capita che nelle scuole ci siano docenti che si ritrovano nelle condizioni di doversi assentare per lunghi periodi che, a volte, arrivano a ridosso delle ultime settimane dalla fine delle attività didattiche. Cosa succede quando il docente titolare si assenta per un così lungo tempo e il rientro in servizio avviene dopo il 30 aprile? Premettiamo subito che l’assenza non deve essere inferiore ai 150 giorni.

La normativa di riferimento è l’art. 37 del CCNL Comparto Scuola 2006-2009 che tutela il principio della continuità didattica, infatti stabilisce quanto segue: “Al fine di garantire la continuità didattica, il personale docente che sia stato assente, con diritto alla conservazione del posto, per un periodo non inferiore a centocinquanta giorni continuativi nell’anno scolastico, ivi compresi i periodi di sospensione dell’attività didattica, e rientri in servizio dopo il 30 aprile, è impiegato nella scuola sede di servizio in supplenze o nello svolgimento di interventi didattici ed educativi integrativi e di altri compiti connessi con il funzionamento della scuola medesima. Per le medesime ragioni di continuità didattica il supplente del titolare che rientra dopo il 30 aprile è mantenuto in servizio per gli scrutini e le valutazioni finali”.

Alcune utili precisazioni

Facciamo alcune precisazioni: il periodo dell’assenza del titolare non deve subire nessun genere di interruzione, neanche durante i momenti della sospensione delle attività didattiche: ciò vuol dire che il rientro in servizio o a disposizione del docente di ruolo non deve avvenire neanche per un solo giorno, ad esempio, durante le vacanze di Natale o Pasqua. Nel caso in cui l’insegnante interrompesse il proprio congedo anche per un solo giorno, infatti, il conteggio dei giorni ripartirebbe da capo.

Precisiamo che tale conteggio si effettua a ritroso, partendo dal giorno del rientro in servizio: la tempistica del 30 aprile indicata dalla normativa serve solo per garantire la continuità didattica alle classi in cui il docente è mancato ed è subentrato un supplente.

Inoltre, il periodo di 150 giorni si riducono a 90 per le classi terminali della scuola secondaria di I e II grado: potrebbe però capitare che un docente, avente più classi, ed assentandosi per un periodo inferiore ai 150 giorni ma superiore ai 90, rimanga a disposizione solamente per le ore relative alle classi terminali, rientrando in cattedra nelle altre. Stessa cosa nel caso in cui un docente ha esercitato il diritto all’allattamento, per cui non ha svolto 6 ore in alcune classi: se tale assenza si prolunga oltre i termini stabiliti, non farà ritorno in classe, ma relativamente a quelle ore resterà a disposizione.

Infine, il rientro in servizio oltre il 30 aprile preclude la partecipazione agli scrutini e agli esami: il docente resterà comunque a disposizione fino al 30 giugno.

Riforma pensioni a rischio: cosa accadrà nel 2023?

Pensionati

Riforma pensioni a rischio: cosa potrebbe accadere a partire dal 2023? Mentre prosegue il conflitto fra Russia ed Ucraina ed il Governo resta quindi impegnato sul fronte internazionale, le ipotesi di una Riforma strutturale si allontano sempre di più. Cosa ci aspetta, quindi, se nei prossimi mesi si dovesse andare avanti in questa direzione?

Riforma pensioni 2023 a rischio

Come abbiamo anticipato, il rischio che la Riforma strutturale delle pensioni possa slittare ancora di un anno diventa sempre più concreto. Alla luce infatti dei recenti eventi internazionali e della conseguente inflazione, il Governo sta facendo fatica a trovare una quadra sul tema pensionistico.

Ad incidere su questa delicata situazione troviamo, inoltre, fenomeni come il caro-bollette, l’aumento delle accise e degli oneri fiscali. Tutte questioni che necessitano di un tempestivo intervento al fine di aiutare le famiglie italiane a sostenere le spese crescenti.

Ecco perché, al momento, mettere mano alle pensioni potrebbe determinare un significativo incremento del debito pubblico. Ma che cosa potrebbe accadere, quindi, a partire dal 2023 se si dovesse andare avanti in questa direzione?

Cosa potrebbe accadere

Qualora la Riforma delle pensioni dovesse essere di fatto posticipata, il Governo potrebbe decidere di intervenire con diverse soluzioni.

La prima ipotesi è che si dovrebbe inevitabilmente tornare alla Legge Fornero. Tuttavia, per scongiurare questa eventualità, l’Esecutivo potrebbe rinnovare per un anno le misure già in vigore tra cui in primis Quota 102, Opzione donna e l’Ape sociale.

In questo modo, però, resterebbero ancora in sospeso questioni di primaria importanza come la flessibilità in uscita, la pensione di garanzia per i giovani e tutti gli altri sconti contributivi per le categorie di lavoratori più svantaggiate.

Precari docenti e ATA: hanno diritto all’anzianità di servizio?

I precari docenti e ATA hanno diritto alla progressione economica derivante dall’anzianità di servizio? Negli anni scorsi, la Cassazione ha affrontato la questione. Come ricorda l’avv, Marco Barone, l’ordinanza del 19/08/2020, n. 17314 affronta un caso in cui i ricorrenti hanno richiesto al Ministero dell’istruzione il risarcimento dei danni, oltre che per per la abusiva stipula di plurimi contratti di lavoro a termine, anche per la progressione stipendiale per anzianità di servizio maturata nel tempo.

Anzianità di servizio dei precari

Per i giudici, viene confermato il principio secondo cui nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, impone di riconoscere l’anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto a tempo determinato ai fini dell’attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo.

Inoltre, si sottolinea che vanno disapplicate le disposizioni dei CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato. (Cass. 5 agosto 2019, n. 20918; Cass. 7 novembre 2016, n. 22558).

Il diritto alla progressione economica

Per i giudici la progressione economica spettante ai precari docenti e ATA è un diritto. La stabilizzazione (assunzione a tempo indeterminato) “non fa venire meno i diritti retributivi maturati anteriormente per effetto dell’anzianità di servizio stessa”. Semmai, dovrebbe comportare il ricalcolo dell’anzianità di servizio (a fini giuridici ed economici) in base ai criteri stabiliti.

Docenti collaboratori sono indispensabili per l’ANP: occorre riconoscimento contrattuale

Si torna a parlare della figura dei docenti collaboratori dei dirigenti scolastici che, in ogni contesto scolastico, rappresentano una risorsa indispensabile per il corretto funzionamento della scuola: il loro ruolo è, a volte, molto complesso, poiché svolgono compiti articolati e organizzativi, pur restando sempre degli insegnanti e ricevendo una retribuzione aggiuntiva piuttosto irrisoria. In base ad un sondaggio condotto dall’ANP, l’introduzione formale del ‘middle management’ a scuola risulta ormai indispensabile.

Il sondaggio ANP sul middle management a scuola

L’Associazione nazionale presidi ha condotto una survey sulla necessità di introdurre il middle management nell’ambito scolastico, vale a dire di rendere istituzionali i collaboratori del Dirigente Scolastico che svolgono le mansioni attribuite loro dalla dirigenza. Le scuole, con il passare del tempo, hanno visto, man mano, crescere le funzioni burocratiche a cui devono assolvere, che a causa della pandemia sono diventate più complesse.

In questo contesto burocratizzato, i dirigenti scolastici hanno sentito sempre più in misura maggiore la necessità del supporto dato dai docenti collaboratori, senza i quali in molte scuole non si sarebbe potuto garantire il regolare funzionamento della scuola. Già in passato l’ex ministra Azzolina aveva parlato dell’intenzione di ufficializzare il ‘middle management’ in ambito scolastico; infatti, ne proponeva il riconoscimento nell’atto di indirizzo per il 2021. Poi la questione è caduta nel dimenticatoio per essere ripescata recentemente dal ministro Bianchi che, in una diretta organizzata dal sindacato Gilda degli Insegnanti, aveva riconosciuto la necessità di questa figura come aiuto del dirigente scolastico nella gestione della scuola.

Dal sondaggio condotto dall’ANP emerge che “al middle-management hanno fatto capo anche funzioni o compiti non solo afferenti alla pandemia, ma anche quelli riguardanti altre aree (rapporti con l’esterno, redazione di progetti, curricolo, gestione dei conflitti, ricevimento dell’utenza ecc.) non espressamente ricompresi nelle deleghe e negli incarichi. A sottolineare la necessità della condivisione su questioni organizzative e gestionali è la frequenza con cui i dirigenti hanno interloquito con il loro staff sia formalmente che informalmente, attuando quella leadership condivisa e partecipata funzionale all’ottimale tenuta del sistema scuola”.

Occorre il riconoscimento contrattuale per i docenti collaboratori

Tuttavia, nonostante si riconosca l’importante ruolo svolto dai docenti collaboratori, nulla di concreto si è ancora fatto per ufficializzarne la figura anche da un punto di vista contrattuale: “Non sorprende, amaramente, l’esiguità del compenso accessorio mediamente attribuito a queste figure di sistema (ammonta a meno di mille euro) che spiega, però, l’urgenza della strutturazione di una carriera dei docenti tramite ruoli intermedi forti delle competenze organizzative, gestionali e relazionali proprie del rispettivo profilo professionale e degli standard ad esse correlati” si legge nel resoconto dell’ANP.

Occorre pertanto che al più presto avvenga il riconoscimento contrattuale del personale scolastico che collabora con i presidi, nonché una sua regolamentazione. Ma se per quanto riguarda il contratto tutto è fermo, anche per la regolamentazione non sembrerebbero esserci grandi novità: la riforma della scuola, alla voce formazione, infatti, non andrebbe a prevedere grandi cambiamenti in merito.

In un comunicato, il presidente ANP Antonello Giannelli ha infatti affermato: la riforma “non fa riferimento alcuno alle funzioni di sistema che costituiscono, nei fatti, la struttura del middle management e riduce il processo di empowerment del personale docente a una mera incentivazione salariale agganciata a percorsi formativi almeno triennali”.

Orario di lavoro dei docenti, i dati dell’ultimo rapporto Eurydice (TABELLE)

I docenti dedicano all’insegnamento meno della metà del proprio orario di lavoro. L’ultimo rapporto Eurydice, intitolato “Insegnanti in Europa: Carriera, sviluppo professionale e benessere“, ha dedicato un capitolo a questo argomento: in realtà, questa tendenza si avverte non solamente in Italia ma un po’ in tutta Europa. Vediamo, in particolare, cosa si legge nell’ultimo quaderno Eurydice.

Orario di lavoro dei docenti, dati TALIS pubblicati nell’ultimo quaderno Eurydice

‘L’orario di lavoro degli insegnanti – si legge – è regolamentato in ogni sistema educativo europeo. Tuttavia, i paesi possono definire l’orario di lavoro in diversi modi: orario di lavoro complessivo, ore di insegnamento e/o tempo di disponibilità a scuola. Nella maggior parte dei paesi dove l’orario di lavoro complessivo è regolamentato, gli insegnanti a tempo pieno lavorano 40 ore a settimana, variando da 30 ore in Grecia e Albania a 42 ore in Svizzera e Liechtenstein.

I dati TALIS rivelano che, in media, gli insegnanti in Europa hanno dichiarato di lavorare 39 ore a settimana. Secondo la normativa, le ore di insegnamento vanno da un minimo di 12 ore a settimana in Turchia a un massimo di 26 ore a settimana in Ungheria. In media, gli insegnanti a tempo pieno nell’UE riferiscono di insegnare quasi 20 ore a settimana. C’è quindi una chiara convergenza tra la normativa e la pratica.

Facendo riferimento a tutti i compiti da svolgere, gli insegnanti dichiarano di dedicare meno della metà del loro tempo all’insegnamento. I compiti direttamente connessi all’insegnamento (ovvero, la pianificazione/preparazione delle lezioni e la valutazione/correzione) richiedono quasi un quarto del loro tempo. Altri compiti, come il lavoro amministrativo, la gestione scolastica, le comunicazioni con i genitori, ecc. impegnano l’altro quarto. Inoltre, quando gli insegnanti hanno più ore di lavoro, l’equilibrio tra queste diverse dimensioni cambia. Infatti, gli insegnanti che lavorano più a lungo tendono a dedicare, in proporzione, meno tempo all’insegnamento e più tempo ad altri compiti.

La proporzione può arrivare fino a un terzo del tempo di lavoro dedicato all’insegnamento. Alcune autorità superiori stanno rivedendo il carico di lavoro degli insegnanti per ridurre il peso dei compiti non essenziali, riorientare gli sforzi verso le responsabilità principali e diminuire il tempo dedicato alle esigenze amministrative’.

‘Oltre all’insegnamento – afferma il rapporto – gli insegnanti devono svolgere molti altri compiti, compresi quelli relativi all’amministrazione, all’organizzazione e alla pianificazione, alla valutazione degli studenti, alle attività extracurricolari, alle attività di sviluppo professionale continuo e ai rapporti con i genitori, gli studenti e altri soggetti interessati.

Come sottolineano le Conclusioni del Consiglio del 26 maggio 2020 sui docenti e i formatori europei del futuro, gli insegnanti devono confrontarsi con situazioni “sempre più impegnative in termini di ruoli da svolgere, responsabilità da assumere e aspettative da soddisfare di discenti, dirigenti scolastici, responsabili politici, genitori e comunità”.

Bilanciare i vari aspetti del loro carico di lavoro, “continuando nel contempo a sviluppare e mantenere la qualità del loro insegnamento e i risultati dei discenti in termini di apprendimento” può essere impegnativo. È dunque fondamentale capire il modo in cui gli insegnanti utilizzano il loro tempo per svolgere i diversi compiti previsti dal loro lavoro al fine di sviluppare politiche che possano trarre il massimo beneficio dalle loro competenze. La seguente analisi esamina il carico di lavoro degli insegnanti e la distribuzione dei loro compiti.

I dati TALIS 2018 forniscono informazioni sulla percentuale di insegnanti che lavorano a tempo pieno, mentre dai dati Eurydice è possibile trarre le definizioni ufficiali relative all’orario di lavoro degli insegnanti di scuola secondaria inferiore. Sulla base dei dati TALIS 2018, la figura 1.6 mostra la percentuale di tempo che gli insegnanti riferiscono di dedicare ai diversi compiti. A livello UE, gli insegnanti riferiscono che meno della metà del loro tempo (46,8%) è effettivamente dedicato all’insegnamento. Un quarto del loro tempo è dedicato alla pianificazione, alla preparazione delle lezioni, alla valutazione e alla correzione del lavoro degli studenti. Il rimanente quarto è dedicato ad altre attività come l’orientamento degli studenti, lo sviluppo professionale e la comunicazione con genitori e tutori.

La figura 1.7 mostra gli obblighi contrattuali per paese e per componente del carico di lavoro. Dall’analisi è evidente che in tutta Europa ci sono diverse combinazioni di ciò che le autorità disciplinano in termini di orario di lavoro degli insegnanti’.

Stipendi insegnanti

‘Gli stipendi degli insegnanti – si legge ancora nel rapporto Euridyce – variano enormemente in Europa, così come la soddisfazione degli insegnanti per ciò che guadagnano. A livello europeo, meno del 40% degli insegnanti è soddisfatto o molto soddisfatto del proprio stipendio. In molti paesi, dove lo stipendio medio lordo effettivo degli insegnanti è inferiore al PIL nazionale pro capite, gli insegnanti esprimono una bassa soddisfazione per i loro guadagni.

È vero però anche il contrario. Gli insegnanti nei paesi dove gli stipendi medi sono superiori al PIL pro capite esprimono una maggiore soddisfazione per quello che guadagnano. I dati rivelano che altre specifiche circostanze potrebbero avere un ruolo nell’insoddisfazione degli insegnanti per i loro stipendi, come una lenta e/o modesta progressione dello stipendio durante la carriera o lunghi periodi di stagnazione dovuti ai minori investimenti dei governi nella spesa pubblica.

Nel rivedere le politiche sugli stipendi, il fatto di tenere in considerazione il ritmo della progressione degli stipendi potrebbe aiutare a migliorare la soddisfazione degli insegnanti per le loro remunerazioni. Rendere gli stipendi degli insegnanti più attrattivi potrebbe anche incidere nella capacità di influenzare le scelte dei giovani in merito al loro percorso professionale.

L’età pensionabile degli insegnanti ha seguito dinamiche simili a quelle di altri settori. Nella maggior parte dei paesi europei, gli insegnanti vanno generalmente in pensione a 65 anni. I sistemi educativi che permettono agli insegnanti di andare in pensione prima stanno gradualmente aumentando l’età pensionabile. Inoltre, la normativa che consentiva alle donne di andare in pensione prima degli uomini è scomparsa o è destinata a scomparire nel prossimo decennio’.

RAPPORTO EURYDICE

Concorso straordinario ‘light’, bando a maggio: la distribuzione dei posti

Nuovo concorso straordinario, dopo i due concorsi STEM (uno svoltosi la scorsa estate, l’altro in partenza con le prove scritte) e i due ordinari (per infanzia, primaria e secondaria), è in arrivo la nuova procedura concorsuale riservata ai precari storici, ovvero a quei docenti che possiedono almeno tre annualità di servizio, anche non consecutive, nelle ultime cinque, secondo quanto previsto dal decreto Sostegni Bis.

Nuovo concorso straordinario, in palio 14.420 posti: ecco la distribuzione delle cattedre

Il bando del concorso straordinario è ormai di prossima uscita, anche perché le prove, secondo la roadmap del Ministero dell’Istruzione, dovranno svolgersi entro il prossimo 15 giugno. Come riporta il quotidiano economico ‘Il Sole 24 ore’, si tratterà di un concorso estremamente ‘light‘, visto che sarà composto da un’unica prova disciplinare, ovvero un orale finalizzato all’accertamento della preparazione del candidato, oltre ovviamente alla valutazione dei titoli.

Le tracce saranno predisposte dalle singole commissioni nel numero pari a tre volte quello dei candidati calendarizzati nella singola sessione: le tracce saranno estratte dai diretti interessati il giorno stesso della prova. Il bando di concorso è atteso a maggio, saranno 14.420 le cattedre in palio, per il 70 per cento dei casi distribuite da Firenze in su. 

Il colloquio durerà 30 minuti e sarà richiesta una minima conoscenza della lingua inglese (livello B2). Il punteggio massimo per la prova disciplinare sarà 100, mentre altri 50 punti al massimo potranno essere attribuiti sulla base dei titoli accademici, scientifici e professionali in possesso dei candidati. Pertanto, le commissioni avranno a disposizione 150 punti in totale. 

I candidati che soddisfano i requisiti richiesti potranno presentare la propria domanda di partecipazione in un’unica regione e per una sola classe di concorso.

Gli aspiranti docenti di ruolo collocati in posizione utile nelle graduatorie di merito regionali, qualora risultino vincitori del concorso, andranno a firmare un contratto a tempo determinato, con successivo percorso di formazione. La bozza di decreto del Ministero dell’Istruzione parla di 40 ore complessive (5 CFU) mentre il CSPI, nell’esprimere il proprio parere in merito, ha chiesto 48 ore di attività formative e attività di tirocinio per un totale di 8 CFU.

Una volta superata la prova finale che chiuderà il percorso formativo, gli aspiranti docenti in ruolo potranno finalmente sottoscrivere il contratto a tempo indeterminato.

Qui di seguito riportiamo la distribuzione dei posti, secondo quanto indicato dal Ministero dell’Istruzione:

  • Piemonte 1.444
  • Lombardia 3.563
  • Liguria 393
  • Veneto 2.208
  • Friuli Venezia Giulia 370
  • Emilia Romagna 1.247
  • Toscana 589
  • Umbria 143
  • Marche 438
  • Lazio 1.566
  • Abruzzo 236
  • Molise 42
  • Puglia 949
  • Campania 258
  • Basilicata 58
  • Calabria 179
  • Sicilia 342
  • Sardegna 395

Carta del Docente, cambiamenti in arrivo con il Decreto su formazione e reclutamento?

Carta del Docente, la nuova riforma sulla formazione e reclutamento potrebbe introdurre altri cambiamenti, indubbiamente svantaggiosi, in aggiunta alla già criticatissima formazione (facoltativa) con ‘incentivi salariali’ annessi e connessi.

Le novità riguardanti le nuove modalità legate ai percorsi formativi potrebbero portare ad una soppressione del bonus da 500 euro. Occorre, comunque, tenere presente che la riforma della formazione e del reclutamento è stata sì approvata dal Consiglio dei Ministeri ma dovrà superare l’esame parlamentare, nello specifico quello del Senato.

Bonus 500 euro, novità in vista con la riforma della formazione e del reclutamento?

Il nuovo Decreto Legge sul PNRR, previsto dal ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, dovrà passare all’esame del Senato: da qui partirà l’iter parlamentare, il testo del provvedimento, infatti, arriverà ‘blindato’ alla Camera dei Deputati e non dovrebbe più subire modifiche. Ancor prima dell’esame parlamentare, però, il Decreto Legge dovrà essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Da quel momento, il testo dovrà essere convertito in legge entro 60 giorni. 

Non sono poche le perplessite riguardanti il nuovo Decreto formazione e reclutamento e una di queste riguarda proprio il bonus da 500 euro, le cui risorse potrebbero essere destinate ad altre finalità, come quelle legate all’incentivo economico e alla formazione obbligatoria in orario di servizio. 

A questo proposito, Flc-Cgil mette in guardia in merito ad ‘un meccanismo non universale che utilizza risorse già della scuola, quelle della card docente e quelle del MOF. Come a dire: togliamo risorse già destinate a tutta la platea docenti per darli ad una platea ristretta’.

Carta del Docente, la sentenza del Consiglio di Stato a favore dei precari

Naturalmente è ancora presto per parlare di possibile soppressione della Carta del Docente ma occorre considerare un altro aspetto, non di poco conto, ovvero le diverse pronunce dei Tribunali, emesse negli ultimi mesi, a favore del riconoscimento del bonus da 500 euro al personale precario (ricordiamo soprattutto la recente sentenza del Consiglio di Stato).

Un aspetto non di poco conto perché i ricorsi, proprio sul principio ribadito dalla Consulta, stanno già fioccando. L’auspicata estensione della Carta del Docente al personale precario potrebbe rivelarsi insostenibile per il governo e da qui partirebbe la possibilità di una soppressione, ‘giustificata’ dai cambiamenti in arrivo con il nuovo Decreto sul PNRR.

Ancora è presto per parlarne, ma i sindacati stanno già lanciando l’allarme.

Scuola, sciopero del 6 maggio, alla primaria contro le Invalsi: Nota ministeriale

Altro sciopero per il mondo della scuola: con la nota n. 26560 del 22 aprile scorso, il ministro dell’Istruzione comunica che, per il prossimo 6 maggio 2022, si prevedono varie azioni di sciopero che riguardano l’ambito scolastico. Ad essere interessati sia i docenti che il personale ATA, a tempo determinato e di ruolo. Di seguito i dettagli della nota ministeriale.

Oggetto della nota ministeriale sullo sciopero della scuola del 6 maggio

Il Ministero dell’Istruzione pubblica la nota n. 26560 del 22 aprile avente il seguente oggetto: “Comparto Istruzione e Ricerca – Sezione Scuola. Azioni di sciopero previste per la giornata del 6 maggio 2022. Adempimenti previsti dall’Accordo sulle norme di garanzia dei servizi pubblici essenziali del 2 dicembre 2020 (Gazzetta Ufficiale n. 8 del 12 gennaio 2021) con particolare riferimento agli artt. 3 e 10”.

La nota comunica che per la giornata del prossimo 6 maggio 2022 si prevedono le seguenti azioni di sciopero che riguardano il mondo dell’istruzione e che si svilupperanno sia per l’intera giornata, sia in forma breve.

Sciopero per l’intera giornata

Ecco in dettaglio da chi è indetto lo sciopero e a chi si rivolgerà:

  • Cobas Scuola Sardegna: “personale Docente, Ata, Educativo e Dirigente, a tempo determinato e indeterminato, del comparto scuola (istruzione), in forza sia alle sedi nazionali che a quelle estere”;
  • Cobas – Comitati di base della scuola: “personale docente, educativo e ata delle scuole di ogni ordine e grado”;
  •  Unicobas Scuola e Università: “personale docente ed ata, a tempo determinato e indeterminato, delle scuole, della ricerca e delle università in forza sia nelle sedi nazionali che in quelle estere”;
  •  Cub Sur (Scuola Università Ricerca): “personale in servizio presso le istituzioni scolastiche a qualunque titolo”;
  •  Saese: “personale docente ed ata, a tempo indeterminato, atipico e precario;
  •  Usb – Unione Sindacale di Base: “personale del comparto scuola docente, ata, educativo e dirigente a tempo determinati e indeterminati delle scuole in Italia e all’estero”.

Relativamente alla sola scuola primaria: sciopero breve

SGB (Sindacato Generale di Base): lo sciopero si articolerà in funzione dell’attuale definizione delle date dell’INVALSI:

  • “Sciopero breve delle attività funzionali connesse alle sole prove INVALSI, nella sola scuola primaria, per le attività di somministrazione dei test e per tutte le attività connesse alla gestione dei test INVALSI per il giorno 6 maggio 2022;
  • sciopero delle attività funzionali connesse alle sole attività di correzione e tabulazione di tutte le prove INVALSI, nella sola scuola primaria, per il periodo di correzione dei test, a partire dal 6 maggio 2022 e per tutta la durata delle attività di correzione e tabulazione delle prove, come calendarizzato da ogni singola istituzione scolastica”.

Doveri da ottemperare per le scuole

La nota prosegue nel ricordare che il diritto di sciopero va esercitato in osservanza delle regole e delle procedure fissate dalla normativa: rappresentando la scuola un servizio pubblico essenziale, pertanto si raccomanda agli USR e agli istituti scolastici di darne tempestiva comunicazione a tutti gli interessati e alle famiglie, attivando ogni soluzione a loro disponibili per garantirne un’efficace informazione. Inoltre, ricorda che le amministrazioni devono tempestivamente comunicare i dati riguardanti il personale aderente attraverso la nuova procedura di acquisizione disponibile sul portale SIDI, “Rilevazione scioperi web”.

NOTA MINISTERIALE

Pensioni 2023: chi potrà ancora uscire a 64 anni?

Pensionati

Riforma pensioni 2023: chi potrà ancora uscire dal mondo del lavoro in anticipo all’età di 64 anni? Se da un lato, infatti, nel corso di tutto il 2022 i lavoratori prossimi alla pensione potranno beneficiare di Quota 102, cosa accadrà a partire dal prossimo anno? Ecco tutte le ultime novità a riguardo.

Chi andrà in pensione a 64 anni anche nel 2023?

Come abbiamo già ricordato in precedenza, grazie all’introduzione di Quota 102 per tutto il 2022 i lavoratori prossimi alla pensione potranno di fatto lasciare il lavoro a 64 anni di età e 38 di contributi versati.

Ma cosa accadrà a partire dall’anno prossimo? Con la riforma delle pensioni auspicata, Quota 102 dovrebbe in realtà cadere in disuso e lasciare spazio ad un nuovo meccanismo di flessibilità in uscita.

A tal proposito, il governo sembrerebbe intenzionato ancora per il momento a garantire l’accesso alla pensione proprio intorno ai 63-64 anni. In cambio, però, del calcolo dell’assegno interamente con il sistema contributivo. Una penalizzazione, dunque, necessaria ai fini della sostenibilità economica del Paese.

Ma non finisce qua, perché in realtà sempre a partire dal 2023 potranno ancora andare in pensione a 64 anni tutti coloro che saranno riusciti a perfezionare i requisiti per accedere a Quota 102 entro la fine di quest’anno.

Una volta, infatti, centrati i termini richiesti, il lavoratore potrà godere della cosiddetta cristallizzazione del diritto alla pensione.

Le altre ipotesi

Si ricorda, infine, che nelle trattative riguardanti la prossima riforma delle pensioni restano ancora aperte sul tavolo delle altre ipotesi di flessibilità in uscita. A tal proposito, i sindacati vorrebbero fosse introdotta la possibilità di andare in pensione a partire dai 62 anni o con 41 anni di contributi versati a prescindere dall’età anagrafica.

Tuttavia, è altamente improbabile che il governo possa guardare con favore a simili proposte che potrebbero mettere a rischio la sostenibilità dell’intero sistema previdenziale.